mercoledì 19 maggio 2010

Le parole non possono


Conosco quattro lingue, e ne sto imparando una quinta, ma le parole per esprimere la bellezza, la meraviglia, la spettacolarità e il fascino di Rio de Janeiro non riesco a trovarle in nessuna di queste. Non conosco le parole per descrivere questa città immensa, questo paesaggio sorprendente, questa gente consapevole della propria grandezza, questa vita cittadina irresistibile. Ci provino queste immagini.


Una caipirinha sul lungomare ondulato a tessere bianche e nere di Copacabana, assaliti dai venditori ambulanti e da sciuscià. Un circense del calcio in divisa nazionale che stende per terra palline di ogni tipo (tennis, gomma, frutti, boe, pomi) e palleggia su richiesta con una palla a scelta. I campi di beach volley, il fùtebol in spiaggia, chi corre, i posti di polizia. I residence stile anni ’50 che altrove sarebbero brutti. La avenida Atlàntica, il più bel nome per una strada, costeggia la spiaggia, il Pao de Açucar svetta dai tetti dei palazzi di Copacabana. La avenida de Nossa Senhora de Copacabana resta nascosta sotto i palazzi e intasata di centinaia di bus e taxi in un traffico scorrevole a velocità folli, la marea umana.


I palazzi metallici e trasparenti di Centro, il quartiere finanziario costruito tra le chiese barocche, i teatri sfarzosamente liberty, le biblioteche neoclassiche. Frotte di carioca lo animano nelle ore lavorative, concerti di protesta lo tengono vi

vo nelle ore serali.


La Pràia Vermelha, incassata tra le lisce pareti del morro da Urca, del Pao de Açucar e del morro do Urubu, in un paesaggio sorprendentemente incontaminato e che per le lisce pareti declinanti sembra una gigantesca vasca da bagno.


Le botteghe nelle

case storiche, le paderias, le sorveterias, i locali della caipirinha, gli archi bianchi del bonde elettrico che scorre verso Santa Teresa, le palme nei giardini, i comida à quilo dove si paga il cibo a peso, i palazzi vetro e acciaio costruiti addosso ai palazzi belle-epoque, i graffiti coi nomi delle località, i carretti, i maggioloni.


La Pedra da Gàvea a strapiombo sul mare sullo sfondo di Ipanema. Il parco “Garota de Ipanema” in onore dei musicisti Antonio Carlos Jobim e Vinicius da Moraes e della vera garota Heloisa Pinheiro.

I surfisti che aspettano l’onda giusta addensati come gabbiani. Le giovani famiglie a spasso, le modelle in sessione fotografica sugli scogli. Le cime dell’Alto da Boa Vista e del Corcovado tagliate dalle nuvole basse, la Floresta da Tijuca altissima dietro i tetti di Leblon.


I morros, le montagne che spuntano dal paesaggio pianeggiante delle barre sabbiose come gobbe piantate a caso nella città; visti in prospettiva dalle strade appaiono svettanti sopra gli ultimi balconi dei palazzi.


I pullman a migliaia per centinaia di linee (ho letto di una linea 2011…) che sfilano a velocità assurde per le strade a senso unico dei quartieri, e si sorpassano a ripetizione anche alle fermate tanto che i passeggeri alle fermate devono sbracciarsi e buttarsi in strada per ottenere la fermata. Le indicazioni sul muso, capolinea, prezzi e luminosi percorsi con elenchi di località leggendarie quali Ipanema, Botafogo, Copacabana, Urca, Leblon, Maracana, Tijuca, Flamengo, Lapa.


Le favelas aggrappate alla roccia dei morros, rossicce di mattoni, che si inerpicano su pareti ripidissime fino dove è possibile; a Guillaume fanno venire in mente i borghi liguri. Dalle favelas scende una moltitudine di

disperati che passa per le strade scalza, che dorme tra i tubi delle impalcature, che chiede un pasto vincendo la vergogna, molti altri invece non si sforzano nemmeno più e passeggiano a caccia di lattine vuote da rivendere.


Una cena in avenida Mem de Sà, il cuore di Lapa, il quartiere notturno dei locali di musica dal vivo. Nelle strade bordate di elegantissimi palazzi

belle-epoque dagli stucchi colorati, ormai trasandati e pietosamente velati dagli alberi, c’è il passeggio serale di gente di ogni colore ed estrazione sociale che passeggiando si gode la musica dal vivo dei locali dove si suona samba fino alle 3 di notte: signori vestiti di lino bianco, disperati delle favelas, brasiliani in ciabatte e costume, prostitute, musicisti, gente in giacca e cravatta che torna dal lavoro, viados, donne di ogni età che non resistono al ritmo del samba e automaticamente abbozzano passi di danza.


Non conosco le parole. Forse bastano quelle del suo soprannome: a Cidade Maravilhosa.

[Foto poi, selezione difficilissima…]

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