sabato 11 dicembre 2010

Babele acquatica

In questo cantiere brasiliano ma con molto personale internazione è curioso sentire le lingue che tutti usiamo per comunicare tra di noi, al lavoro e nello svago.

Io personalmente qui riesco a parlare tutte le lingue che conosco. Con Branco e Vladimir parliamo in italiano, loro sono istriani. I capocantiere sono francesi, quindi via col francese, anche con Armel appena arrivato che è gabonese di Libreville. Tyler, del Nebraska, ha un inglese americano ancora comprensibile, se invece fosse del sud come spesso accade col personale del petrolio (sono quasi sempre texani, o del Mississippi, o Louisiana) parecchia gente farebbe fatica a intendere una semplice frase. Con Angelica la colombiana e Eliceo ecuadoregno si parla spagnolo senza eccessivi intoppi. Con tutti gli altri si parla portoghese.

Tutti gli altri, al pari di me, si barcamenano tra le varie lingue, per esempio so che Eliceo, che è stato in Russia a studiare, parla in russo con il deviatore dell’Azerbaigian, ogni tanto lo sento dire uno “spasiba” o “russky”.

E’ interessante come non abbia grandi problemi a barcamenarmi tra tutte queste lingue (russo a partespesso cambiando in corsa o alternando quando sono al telefono come un traduttore simultaneo. Chiedere la profondità ai croati e riferirla a Eliceo, parlare di viaggi con Angelica e passare all’inglese appena si aggiunge Tyler, parlare di Guadeloupe coi francesi e commentare rum e cachaça coi brasiliani. Ormai anche portoghese e spagnolo viaggiano da soli e indipendenti nella mia testa senza più pestarsi i piedi come accadeva mesi fa, altrimenti non sarei capace di parlare e conversare nelle due lingue senza mescolare inevitabilmente parole e modi di dire. Direi quindi che il mio portoghese è diventato indipendente, e il mio spagnolo praticato solo un mese in Venezuela si sta rafforzando.

Chissà cosa succederebbe se mi mandassero in Medio Oriente?

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