domenica 28 novembre 2010

Radio Còrdoba

Grazie ad internet in cabina (finalmente) Mary si connette a Radio Còrdoba, la sua radio preferita, del resto mi spiega che in famiglia sono abituati ad ascoltare la radio piuttosto che a guardare la televisione. Mary è la compagna di lavoro argentina, viene da Salta, nel nord, ha lavorato in Patagonia per 3 anni, poi è stata assegnata al Brasile. Con il portoghese se la cava bene, tanto che ogni tanto qualcuno prova a farle un complimento dicendole “sei la argentina più brasiliana che ci sia!”, e lei, da brava argentina, si offende! Ovviamente succederebbe lo stesso anche al contrario: è sempre forte e presente questa rivalità tra argentini e brasiliani. Con Mary parliamo in spagnolo. Stavolta però il mio portoghese è forte abbastanza da non soffrire del cambio di lingua, al massimo è la pronuncia che diventa pessima.

Radio Còrdoba. Musica argentina e programmi in questo strano spagnolo con l’accento argentino: una curiosa e particolare parlata che pare sia fatta a lingua immobile come se si dovesse mantenere dell’acqua nella bocca. La musica è tutta argentina, a ricoprire i rumori delle attrezzature nella cabina sono schitarrate di musica folk (che chiamano proprio flokloristica, anzi, fo’klori’tica) delle Pampas e del Gran Chaco, ma soprattutto la fisarmonica e il pianoforte del tango, che altro sennò? Tango a tutte le ore, con le suadenti melodie dei compositori storici.

O ogni ora la temperatura a Buenos Aires: ma perché, se le trasmissioni sono da Còrdoba?? A mezzanotte invece una musica pomposa: è l’inno argentino! Mary mi spiega che è per “iniziare nel migliore dei modi il nuovo giorno!”, ovviamente, non essendo patriottica (per lo meno non come i cileni) a lei non fa né caldo né freddo. Questo inno alla radio mi ricorda le parole di Albert, il mio compagno di lavoro congolese quando ero in Gabon, quando raccontava che da Brazzaville si sentiva la radio dello Zaire e scorrevano le parole di Mobutu che augurava patriotticamente il proprio dittatoriale buon giorno al suo sterminato paese.

Molto più innocuo e piacevole, mi ascolto volentieri l’inno argentino e poi di nuovo via col tango.

sabato 27 novembre 2010

Prigione acquatica

Festa di partenza in serata a Copacabana, mi accompagna Julia, incontriamo parecchia gente per passare l’ultima mia serata normale, un ultimo accumulo di vita necessario in vista del mese di reclusione acquatica, al costo di dormire poco o niente. Tento di dormire in macchina nel viaggio fino a Cabo Frio, e mi sarebbe piaciuto riuscirci davvero a dormire, così almeno avrei evitato di vedere le brutture ignobili e indescrivibili della periferia di Rio de Janeiro e delle città vicine, orrende distese di capannoni, di squallide case tropicali, di strade squadrate senza nome salvo anonimi codici di riferimento: ovunque la sensazione di una infinita trascuratezza, nonostante sia una zona compresa tra una delle città più belle del mondo e delle montagne fantastiche. In questi quartieri centinaia di migliaia di persone vivono la loro vita quotidiana, e questo non significa che siano tutti dei poveracci, perché ho anche visto villette e persone indubbiamente benestanti; li vedo al buio dell’alba girovagare per dirigersi alle fermate dei pullman in luoghi che non vorresti girare nemmeno di giorno. Che cosa ci fanno in questi posti, perché uno sta qui? Ci sono capitati qui oppure è stata una scelta? Qui lavorano e quindi in queste zone abitano oppure qui abitavano e quindi qui hanno cercato lavoro? Hanno ambizioni e aspirazioni oppure gli va bene così? Guadagnano poco perché qui la vita costa poco oppure semplicemente hanno scelto di spendere poco a vantaggio di altri sfizi? Che cosa è la qualità della vita? In cosa si misura? Nell’abitare in un bel centro a qualunque costo, nel poter vivere in campagna qualunque essa sia? E io, che mentre li osservo sto andando verso la mia prigione acquatica, sto forse meglio di loro perché almeno mi sono goduto Rio de Janeiro gratis?

Piattaforma nuova anche stavolta, per l’ennesima volta è come se dovessi ricominciare tutto da capo: conoscere le persone, imparare i procedimenti di qua, individuare la posizione delle attrezzature su questa piattaforma, e soprattutto riprendere dopo due mesi di pausa. Compagni di lavoro: Mary, argentina, Analicia e Felipe, brasiliani.

La piattaforma nel complesso è meno peggio dell’ultima, ad esempio la mensa ha le finestre sul mare e luce naturale anziché i freddi neon di un locale nel cuore degli alloggiamenti. La stanza almeno è da due e non più da quattro, finalmente un po’ di riservatezza e solitudine dopo le 12 ore; e anche un tavolino con una televisione (non mi interessa, al massimo i notiziari, per seguire la situazione a Rio adesso che c’è l’esercito) e qualche gancio in più. Ma il bagno: suqllido come quello di un treno, semibuio, manca lo specchio e la doccia (più che altro uno spruzzo) è ad altezza spalle. Alle lenzuola non vorrei mai fare l’esame del luminol.

Buon lavoro.

giovedì 25 novembre 2010

Tropa da elite, carri armati in città

Da qualche giorno Rio de Janeiro è sotto pressione. Agli ingressi delle strade principali (linha Amarela, linha Vermelha, avenida Brasil) banditi stanno dando fuoco a macchine e pullman, oltre a mitragliare i posti di polizia che sorvegliano le strade. Al telegiornale si stanno susseguendo scene di incendi, barricate di pneumatici in fiamme, fori di proiettile nei vetri dei posti di polizia, e soprattutto si vedono i carri armati dell’esercito.

La ragione sta nella presunta reazione dei narcotrafficanti in seguito alla “riconquista” di alcune favelas da parte di unità speciali della PMRJ, la Polìcia Municipal do Rio de Janeiro. Il metodo della liberazione delle favelas è semplice: fare irruzione al mattino presto, condurre una spedizione rapida a stanare i narcotrafficanti, installare un posto di polizia all’interno, sorvegliare la favela per 20 giorni, consegnarla alla polizia classica. I narcotrafficanti della Zona Norte non ci stanno ed ecco spiegati gli assalti recenti. Attualmente il punto caldo è nelle favelas del bairro Penha, nella Zona Norte, una area di favelas con 240'000 abitanti in cui si nascondono 600 narcotrafficanti, con le immagini dei carri armati pronti all’azione e i furgoni blindati ariete a sfondare le barricate.

A dire il vero il bilancio di oggi è tranquillo, e l’esercito stesso si muove tranquillo, la la tensione c’è. Vedo la gente durante le dirette, gente che si aggira comunque tra le camionette dell’esercito per andare a scuola o al lavoro. Purtroppo per loro sono abituati alla violenza.

mercoledì 24 novembre 2010

Meraviglioso Centro

Meraviglioso Centro, quella zona di Rio che è il centro finanziario della citta, e che in passato era la Rio de Janeiro propriamente detta. Visto da fuori il Centro è un raggruppamento di grattacieli sui 50 piani, quando a un visitatore in arrivo per la prima volta, alla vista dei grattacieli da lontano, a un europeo si dice “ecco, quello lì è il centro di Rio” la prima cosa che questo pensa è “ma no, quelli sono solo grattacieli!”. Dove sono Copacabana e Santa Teresa? Dove sono le vie strette e le chiese e le case antiche? In effetti ci sono, ma sono sepolte dai grattacieli. Chi viene da fuori quindi esclude subito il Centro pensando che non abbia niente da offire (almeno per un europeo!).

Meraviglioso Centro, con le vie Buenos Aires, Alfandega, Senhor dos Passos, tre parallele e vie traverse affollate come i suk di una medina araba, con le sue viuzze strette e congestionate da taxi e furgoni che procedono a passo d’uomo tra la folla. La Rua da Carioca, sotto il Convento de Santo Antonio e al coperto da una fitta foresta di alberi ai marciapiedi, con le sue botteghe di strumenti musicali e con le centiania di bus di passaggio. Le vie “sudamericane”: rua Uruguaiana, avenida Venezuela, rua Buenos Aires, rua Mexico, avenida Republica do Paraguay, avenida Republica do Chile.

Meravoglioso Centro, che le foto d’epoca mostrano come una quartiere di casette basse in cui spicca in bellezza e in altezza la cupola dello splendido teatro municipale stile neoclassico, mentre adesso il teatro municipale si ritrova sovrastato da edifici di 100 metri più alti.

Meraviglioso Centro, che in un settore preserva quasi interamente le sue casette di inizio XX secolo a due o tre piani, con le facciate coperte di stucchi e dipinte di azzurro, viola, rosa, verde, giallo, arancione, blu. Le case con gli ingressi a larghezza d’uomo, le scalinate ripide come la scalinata della cupola del duomo di Firenze. Le sue chiese del ‘700: Santa Rita, Sao José, Sao Francisco da Paula, Candelaria. I suoi edifici e luoghi di antico splendore: Cafeitaria Colombo, Casa França-Brasil, il Centro Cultural Banco do Brasil e il Centor Cultural dos Correios. Alla Cafeitaria Colombo ho il piacere di andarci con Valeska, anzi è lei che mi ci porta: sontuoso, giganteschi specchi grandi quanto le pareti, stucchi, affreschi, paraventi in legno, soffitti decorati, anticho splendore.

Meravogliso Centro, a poca distanza dalla immensa Avenida Presidente Vargas, indicibile scempio urbanistico che ha sacrificato fette della vecchia città a una strada di grande scorrimento. Il Centro rimane così separato dal suo richissimo Mosterio de Sao Bento, barocco, una volta in bella mostra di sé sul morro in faccia al mare e adesso circondato ignobilmente da palazzoni di 30 piani e dalla megastrada sopraelevata.

Meraviglioso Centro, adesso che è natale e tutti i negozi sono addobbati con lucine e festoni e alcuni espongono tutta merce natalizia per alberi di natale, babbi natale, palline, fiocchetti, con un intrico di festoni tirati tra i balconi delle case. Gente in ciabatte sceglie i festoni e le palline di natale, possibilmente all’ombra.

Venite a Rio de Janeiro, andate pure a Copacabana, Ipanema, Pan di Zucchero, Santa Teresa, Corcovado, ma non perdetevi la sorpresa del suo Centro per nessuna ragione!

martedì 23 novembre 2010

A teatro

Chi l’avrebbe mai immaginato anche solo la volta scorsa? Ieri sera sono andato a teatro. Il mio livello di portoghese certo è ancora basico, ancora faccio fatica a esprimermi come vorrei su ogni argomento possibile (mica si può solo parlare di mare, di serate, di Italia, di Rio de Janeiro), ma certamente poter assistere a una rappresentazione tetrale e venire via soddisfatto è decisamente piacevole! Mi invitano Gabi e Mari, la sua coinquilina, le due ragazze che mi hanno benevolmente ospitato la volta scorsa, è sempre un piacere uscire con loro!

La rappresentazione è un’opera di Nelson Rodrigues, considerato il maggior autore teatrale brasiliano: Senhora dos Afogados, scritta nel 1947, racconta di una famiglia tormentata, di assassinii in famiglia, complesso di elettra, amanti, adulteri. Attori eccellenti, decisamente ispirati ieri sera. Gli attori poi, grazie alla particolare scenografia appositamente studiata per questo locale, recitano tra il pubblico, e il pubblico a sua volta si muove tra le scenografie. Il “teatro” in realtà è un padiglione del vecchio mercato del 1930 (ovviamente demolito per fare spazio ad altre brutture, come ho visto essere tipico qui a Rio), un edificio ottagonale in acciaio che ospita un ristorante, sulla banchina di fianco all’imbarco per Niteroi. La scenografia principale è al primo piano, dove sono allestiti elementi di una casa sparsi tra le sedie per il pubblico: un letto in un angolo, una tavola a cui siedono inconsapevoli alcuni spettatori, finestre da cui si affacciano gli attori facendosi spazio tra gli spettatori; il pubblico stesso è avvolto dalla scena, e in certi momento la scena si svolge letteralmente fuori dal padiglione, obbligando gli spettatori ad affacciarsi alle finestre. Memorabile il secondo atto, che si svolge in un bordello, in cui pubblico e attori insieme si spostano al piano di sotto, gli spettatori si siedono a tavolacci imbanditi, gli attori recitano girando tra i tavoli. Il finale si svolge all’aperto, di fronte al padiglione, sul bordo della banchina. Meritatissima ovazione per la rappresentazione!

Dopo lo spettacolo ce ne andiamo in un bar all’aperto in largo Maracanà le ragazze hanno fame e ordinano …polenta fritta.