venerdì 3 settembre 2010

Postaccio

La vacanza a Rio è finita e ora mi tocca lavorare. Ritorno sulla Quest, la piattaforma su cui ero stato di sfuggita con Fabiana e Luìs. All’epoca non mi ero reso conto di quanto pessima sia questa piattaforma: non c’è spazio per niente!

La stanza è un container sul piano di lavoro appena dietro la cabina, non negli alloggiamenti come la maggior parte dei lavoratori, così uscire dalla porta della stanza significa trovarsi immediatamente in area di lavoro: obbligo di tuta, casco, occhiali, stivali, per qualunque cosa. Anche per andare a mangiare si deve passare da fuori, quindi si deve indossare il materiale da lavoro, è quindi come sentirsi al lavoro per 24 ore di fila, non esiste niente che aiuti a staccare, come nelle altre piattaforme dove invece letti, bagni, cucine, sale ricreazione sono nell’edificio degli alloggiamenti, dove ci si può, ci si deve alienare dal lavoro per le 12 ore di riposo: chi lavora sta fuori, in tuta, chi riposa sta dentro, piacevolmente isolato, in pigiama o in calzoncini.

In stanza, 4 letti, abitata in due alla volta, senza la minima privacy o anche solo senza il piacere di sentirsi da soli per due ore. Non esiste un solo scaffale o ripiano, nemmeno una mensolina, nessun posto dove poggiare la roba. Solo un freddo cassetto metallico sotto i letti a castello. C’è un armadietto, diviso in quattro vani microscopici, ma è senza ripiani, lo usiamo solo come ripostiglio per lo zaino da viaggio. Non c’è nessuna mensola al letto per mettere i libri, o il telefonino (averlo…), o una sveglia, o una bottiglia d’acqua. C’è soltanto un tavolino, incassato tra i letti, abbastanza inutile. Il bagno, al pari della stanza, è tragico: beige, luce fioca, lavandino da acrobata, tendina della doccia poco efficace, nessuna mensola per appoggiare la bustina del bagno o anche solo il dentifricio quando ci si lava, solo due gancetti alle pareti, uno proprio sopra lavandino, spiace che il ripiano più grande sia il coperchio del water.

Orrendo.

Che nostalgia di quando ero in Gabon! Lì la stanzetta era da due persone, una a riposo e una al lavoro, per cui si stava sempre da soli, si poteva scegliere tra andare in sala tv, andare nello spiazzo con la capanna, fare un giro nella foresta, stare in stanza a leggere o a scrivere o a guardare un film. Gli alloggiamenti erano lontani dai cantieri, per cui si staccava nettamente dal lavoro. Il viaggio di 10 minuti in jeep per andare e tornare era uno stacco efficace per adattarsi al turno o al riposo, viaggio sempre accompagnato da buona musica; il campo aveva i container con le stanze, una sala cucina, una sala tv, uno spiazzo, una capanna per i giochi di società o per bere il tè o per leggere, e la foresta davanti. Il primo ingresso in stanza a inizio turno era una sorta di cerimonia di arredamento: svuotare lo zaino, appendere le tute al muro, poggiare il trolley per terra e usarlo come cassettiera, riempire l’armadietto coi libri, le riviste, gli shampoo, la roba del bagno. Dopo 12 ore di lavoro in cabina tutto questo aiutava la salute mentale.


Compagni di lavoro: Elaine, una bella brasiliana di origini africane, Oscar, boliviano, Sebastiao, brasiliano di Rio. C’è anche una bella insegnante di inglese e portoghese, credo che farò bene ad andare a lezione.

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