mercoledì 23 marzo 2011

Aguas de Março


Pois as aguas: elas fecham o verao (Poi le piogge, che chiudono l'estate)

Rio de Janeiro, talmente grande e varia geograficamente e morfologicamente (deformazione professionale…), che anche il clima varia da un quartiere all’altro: da una parte splende il sole, altrove diluvia, in cima alle montagne è coperto e tira vento.

Questa metropoli non è su una piatto paesaggio di pianure o altipiani dove dove il cima bene o male è uniforme, non è neanche una città adagiata tra le montagne, semmai sono le montagne che si trovano incluse nella città, rendetevi conto. Non è che a Rio de Janeiro o piove o fa bello come vedete nel meteo nel mondo nell’ultima pagina dei quotidiani, semmai c’è il sole a Ipanema, e intanto diluvia a Tijuca, tira vento nel Centro, piove a Gamboa, si soffoca di calore a Copacabana, incappuccia di nuvolozzi il Pan di Zucchero, si fa il bagno a Sao Conrado, nasconde alla vista il Cristo Redentore.

Così, combinare di uscire con amici che abitino in punti tanto lontani tra loro presuppone il consultare il meteo della città per organizzarsi: “ok, allora ci vediamo a Ipanema”, “ma sta diluviando!” “forse da te a Tijuca, ma qua a Botafogo non piove, almeno non ancora”, “forza, venite a Ipanema che qua c’è un bel sole e le nuvole sono ferme alla Pedra da Gavea!”

Ringrazio i blocchetti dei marciapiedi di Rio e le radici degli alberi che li divellono, così posso camminare coi piedi all’asciuto cercando un guado nell’acqua che allaga la città durante questo diluvio pomeridiano. Stavolta non è lo sgocciolare abbondante di 15 piani di condizionatori, sono le piogge che chiudono l’estate, (le aguas de março di Tom Jobim e Elis Regina): diluvia a secchiate, goccioloni che formano crateri nel terriccio, pozzanghere profonde da non vedere il fondo sporco, getti d’acqua dagli angoli dei tendoni ambulanti delle edicole. E la gente, i carioca, pare abbastanza abituata, altrimenti non andrebbero in giro senza ombrello oppure non si butterebbero comunque sotto il diluvio. Ogni tanto smette, ma smette di piovere incessantemente per fare posto a una fine pioggerellina, troppo fine per impensierire i carioca che continuano a marciare sotto l’acqua. Vedo gente in giacca e cravatta, gente in vestiti comuni e anche gente vestita alla veloce (come in Italia nessuno avrebbe il coraggio di vestirsi nemmeno per dormire come pigiama) coi capelli bagnati, le spalle delle maglie e delle giacche scurite dall’acqua piovana, le scarpe e il fondo dei calzoni fradici pieni dei petali caduti al suolo, l’espressione di chi si è appena preso una secchiata d’acqua ma pazienza si va avanti lo stesso come se niente fosse.

Mi dirigo al Museu Historico Nacional con questo clima, da sopra i palazzoni del Centro spuntano le montagne sfumate dalla pioggia e in parte coperte da bianchissime nuvole sfilacciate dal vento in quota, per cui ogni tanto appare il Cristo Redentore. Splendido il museo, con una sezione dedicata alla storia politica del Brasile dall’arrivo del Re del Portogallo Joao VI nel 1808 in fuga da Napoleone fino alla fine dell’impero nel 1888, questo Brasile dormiente fino a poco fa ora potenza mondiale, e infatti Dilma oggi in tv annuncia che ormai un consiglio di sicurezza dell’ONU è impensabile senza il Brasile settima economia del monto. Ma sono anche collezioni di vetture e portantine, di spade, di quadri cerimoniosi, di ritratti dei baroni del caffè paulisti, ceppi di schiavi, disegni di Taunay durante la mitica spedizione di Langsdorff nell’interno del Brasile, studi di statue, e poi chissà cos’altro visto che come mia consuetudine nei musei ci passo le ore e anche stavolta mi devo fare accompagnare fuori con le luci ormai già tutte spente a metà della mia visita.

Torno lentamente a piedi fino a Riachuelo-Fatima, dal Centro, lunga camminata. Di nuovo passeggio in mezzo alla folla liberata dagli uffici, che si riversa nei fondi delle vie e del Grand Canyon della avenida Rio Branco; sono centinaia di taxi e ancora più centinaia di pullman, la gente ordinatamente in fila ad ogni fermata perché qui in Centro ognuno delle centinaia di pullma ha la propria fermata… Gente che parla, gente che sbaracca le bancarelle e i negozi (nel centro la vita finisce all’ora di cena e il sabato), colleghi che si bevono una birra al bar, chi guarda la partita (anche qui, c’è SEMPRE una partita in tv). Le vie del centro ancora preservato, le mitiche rua Buenos Aires, Alfandega, Senhor do Passos, tanto piene di giorno, di sera si svuotano pericolosamente. Seguo il flusso sperando di non incappare in vie buie e secondarie animate solo più da disperati che si accampano o personaggi poco raccomandabili, fino a quando zigzagando tra gli isolati finisco in avenida Mem de Sa, la via di Lapa.

Lapa! E’ solo martedì e già c’è la folla sui marciapiedi: si ascolta musica dal vivo provenire dall’interno delle decine di locali, la via risuona dei ritmi di bossanova e samba, la gente abbozza dei passi.


http://www.youtube.com/watch?v=WaU0gDSmi84

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