giovedì 24 marzo 2011

Il brasile! (l'albero)


Giornata di cielo coperto, giornata di parchi, giornata di passeggiate in compagnia. Oggi stranamente tocca ai due luoghi che avevo visitato prima di farmi scippare a Copacabana mesi fa, così oggi sono riuscito finalmente a portarmi a casa anche qualche foto che era andata perduta.

Il Parque Lage è un fantastico parco ai piedi del Corcovado, con villa neoclassica dotata di patio con piscina adibito a scuo

la di arti visive, si vede che il Cristo dona ispirazione quaggiù. Per un po’ mi sembra di essere in Gabon: pur essendo artificiale, il parco è una area di piante e alberi di una densità tale da non poterci camminare in mezzo, e con le scimmie che saltano tra i rami.

Eccolo il famoso brasile: un bell’albero dal tronco chiaro arrugginito e chioma frondosa. Fa bella mostra di sé nello splendido Jardim Botanico, voluto dal re Joao VI poco dopo il suo arrivo a Rio de Janeiro nel 1808. Al Jardim è un piacevole bis in compagnia di Saci, una ragazza giapponese in cerca di alternative rispetto a Tokyo che non le piace (soprattutto adesso col disastro nucleare) e che parla in ottimo italiano dall’accento romano.

Magnifici viali di palme reali sottili e altissime, il giardino giapponese (Saci si sentirà a casa?), l’area della Mata Atlantica, le serre con le orchidee, le bromelie, e poi palme ovunque, alberi del viaggiatore, fichi dai tronchi giganteschi, ciuffi di bambù immensi, tucani in volo, stagni con ninfee.

Che quiete! Eppure siamo davanti a una delle vie più rumorose della città, rumore assorbito da tutte queste piente, e anche la vista pare isolare questo gioello botanico, non si vede un solo palazzo, simao circondati dalle montagne del Corcovado, dei Dois Irmaos e della Pedra da Gavea e anche dal cielo sulla laguna coperta da muri di piante. Sul tutto vigila come sempre il Cristo Redentore. Il Cristo fa parte di uno spettacolo invidiabile per chi percorre la rua Sao Clemente in Botafogo: al fondo della via verso ovest, il Cristo altissimo, alle spale lato est la sagoma del Pan di Zucchero; io provo a godermi la vista dal pullman, il tempo non mi manca siccome c’è un traffico bestiale.

Mi tolgo la soddisfazione di una picanha niente male: Saci mi porta in una churrascaria a Copacabana per un giro di rodizio, così oltre al buffet ogni 2-3 minuti ci arriva un cameriere con mezzo metro di spiedo di carne varia (salsiccia, ), una scodella, un enorme coltello. Il cameriere posa la scodella al tavolo, punta lo spiedo, e taglia lesto una sottile fetta di carne per noi. E dire che a Torino nella via c’è un ristorante brasiliano e io non ci sono mai andato nemmeno per sbaglio una volta.

mercoledì 23 marzo 2011

Aguas de Março


Pois as aguas: elas fecham o verao (Poi le piogge, che chiudono l'estate)

Rio de Janeiro, talmente grande e varia geograficamente e morfologicamente (deformazione professionale…), che anche il clima varia da un quartiere all’altro: da una parte splende il sole, altrove diluvia, in cima alle montagne è coperto e tira vento.

Questa metropoli non è su una piatto paesaggio di pianure o altipiani dove dove il cima bene o male è uniforme, non è neanche una città adagiata tra le montagne, semmai sono le montagne che si trovano incluse nella città, rendetevi conto. Non è che a Rio de Janeiro o piove o fa bello come vedete nel meteo nel mondo nell’ultima pagina dei quotidiani, semmai c’è il sole a Ipanema, e intanto diluvia a Tijuca, tira vento nel Centro, piove a Gamboa, si soffoca di calore a Copacabana, incappuccia di nuvolozzi il Pan di Zucchero, si fa il bagno a Sao Conrado, nasconde alla vista il Cristo Redentore.

Così, combinare di uscire con amici che abitino in punti tanto lontani tra loro presuppone il consultare il meteo della città per organizzarsi: “ok, allora ci vediamo a Ipanema”, “ma sta diluviando!” “forse da te a Tijuca, ma qua a Botafogo non piove, almeno non ancora”, “forza, venite a Ipanema che qua c’è un bel sole e le nuvole sono ferme alla Pedra da Gavea!”

Ringrazio i blocchetti dei marciapiedi di Rio e le radici degli alberi che li divellono, così posso camminare coi piedi all’asciuto cercando un guado nell’acqua che allaga la città durante questo diluvio pomeridiano. Stavolta non è lo sgocciolare abbondante di 15 piani di condizionatori, sono le piogge che chiudono l’estate, (le aguas de março di Tom Jobim e Elis Regina): diluvia a secchiate, goccioloni che formano crateri nel terriccio, pozzanghere profonde da non vedere il fondo sporco, getti d’acqua dagli angoli dei tendoni ambulanti delle edicole. E la gente, i carioca, pare abbastanza abituata, altrimenti non andrebbero in giro senza ombrello oppure non si butterebbero comunque sotto il diluvio. Ogni tanto smette, ma smette di piovere incessantemente per fare posto a una fine pioggerellina, troppo fine per impensierire i carioca che continuano a marciare sotto l’acqua. Vedo gente in giacca e cravatta, gente in vestiti comuni e anche gente vestita alla veloce (come in Italia nessuno avrebbe il coraggio di vestirsi nemmeno per dormire come pigiama) coi capelli bagnati, le spalle delle maglie e delle giacche scurite dall’acqua piovana, le scarpe e il fondo dei calzoni fradici pieni dei petali caduti al suolo, l’espressione di chi si è appena preso una secchiata d’acqua ma pazienza si va avanti lo stesso come se niente fosse.

Mi dirigo al Museu Historico Nacional con questo clima, da sopra i palazzoni del Centro spuntano le montagne sfumate dalla pioggia e in parte coperte da bianchissime nuvole sfilacciate dal vento in quota, per cui ogni tanto appare il Cristo Redentore. Splendido il museo, con una sezione dedicata alla storia politica del Brasile dall’arrivo del Re del Portogallo Joao VI nel 1808 in fuga da Napoleone fino alla fine dell’impero nel 1888, questo Brasile dormiente fino a poco fa ora potenza mondiale, e infatti Dilma oggi in tv annuncia che ormai un consiglio di sicurezza dell’ONU è impensabile senza il Brasile settima economia del monto. Ma sono anche collezioni di vetture e portantine, di spade, di quadri cerimoniosi, di ritratti dei baroni del caffè paulisti, ceppi di schiavi, disegni di Taunay durante la mitica spedizione di Langsdorff nell’interno del Brasile, studi di statue, e poi chissà cos’altro visto che come mia consuetudine nei musei ci passo le ore e anche stavolta mi devo fare accompagnare fuori con le luci ormai già tutte spente a metà della mia visita.

Torno lentamente a piedi fino a Riachuelo-Fatima, dal Centro, lunga camminata. Di nuovo passeggio in mezzo alla folla liberata dagli uffici, che si riversa nei fondi delle vie e del Grand Canyon della avenida Rio Branco; sono centinaia di taxi e ancora più centinaia di pullman, la gente ordinatamente in fila ad ogni fermata perché qui in Centro ognuno delle centinaia di pullma ha la propria fermata… Gente che parla, gente che sbaracca le bancarelle e i negozi (nel centro la vita finisce all’ora di cena e il sabato), colleghi che si bevono una birra al bar, chi guarda la partita (anche qui, c’è SEMPRE una partita in tv). Le vie del centro ancora preservato, le mitiche rua Buenos Aires, Alfandega, Senhor do Passos, tanto piene di giorno, di sera si svuotano pericolosamente. Seguo il flusso sperando di non incappare in vie buie e secondarie animate solo più da disperati che si accampano o personaggi poco raccomandabili, fino a quando zigzagando tra gli isolati finisco in avenida Mem de Sa, la via di Lapa.

Lapa! E’ solo martedì e già c’è la folla sui marciapiedi: si ascolta musica dal vivo provenire dall’interno delle decine di locali, la via risuona dei ritmi di bossanova e samba, la gente abbozza dei passi.


http://www.youtube.com/watch?v=WaU0gDSmi84

martedì 22 marzo 2011

Inizia l'autunno

Riposo, non sentendo più il bisogno e la necessità di correre fuori affamato di conoscere la città e la gente, ora che la città ogni tanto la giro come se ci abitassi da tempo e le persone che rappresentano le mie giovani e ancora sottili radici qui mi basta chiamarle quando hanno finito al lavoro.

Tento di andare a piedi per queste vie facilmente identificabili come poco raccomandabili la notte, ma piacevolmente affollate di giorno, e quindi via verso Lapa! Gli archi (Arcos da Lapa, ricordo una scena di CSI Miami girata proprio ai piedi degli archi lato Santa Tereza, sulle gradinate piastrellate di rosso a scritte bianche, il tutto coi colori saturi e vividi tipici di CSI Miami) non sono ancora stati riverniciati per intero, mancando due arcate, che già il bianco brillante che avevo visto stendere a novembre è già sbiadito e macchiato dalla muffa che cola dalla cima. La muffa, quel colore nero che caratterizza tantissimi angoli lerci di Rio de Janeiro per l’umidità, muffa che si sviluppa istantanea e inarrestabile su ogni superficie appena un po’ rugosa.

La Fundiçao Progresso è la mia tappa di oggi, appena dietro gli archi, davanti al cono orrendo della cattedrale, con lo sfondo dei palazzoni violentatori del Centro, con le palme davanti. Qui, in primavera (australe, quindi a settembre), c’era stata la partenza della spettacolare parata di Maracatù, gonne volanti e tamburi incessanti: la Fundiçao Progresso, ex fabbirca, infatti è sede di diverse scuole di danza e luogo culturale in un bell’edificio in acciaio e mattoni vivacemente colorati. L’artista Guta ha dipinto (con pennelli ma anche creato con photoshop) delle splendide tavole che raffigurano il Largo do Carioca, il Largo da Lapa e Praça XV in diverse fasi dal 1680 ad oggi: immagini impietose le tavole del 1988, in cui è evidente lo stupro vergognoso fatto alla città cancellando le meraviglie barocche, neoclassiche e liberty di cui Rio de Janeiro era piena.

Pensavo di andare a fare un giro a Botafogo (avessi detto Copacabana o Ipanema, e invece io scelgo Botafogo-Humaità), ma passando dal Centro sono rimasto come al solito troppo estasiato da pensare di andare altrove.

La avenida Rio Branco al crepuscolo è un gigantesco canyon urbano, pareti illuminate, sul cui fondo scorre di un fiume incontenibile di pedoni all’ora dell’uscita dagli uffici, le vie laterali, altri canyon minori sono gli affluenti di questa strada a senso unico dove corrono centinaia di autobus verso sud, in direzione della spettacolare scenografia della silhouette nera del Pan di Zucchero incorniciata dalle facciate lontane. Davanti al Teatro Municipal manifestano contro Cabral, il prefetto dello Stato di Rio de Janeiro, sorvegliati da una decina di mezzi della polizia; tante belle macchine fanno scendere tante belle ragazze in abito da sera e valigiotto: portano uno strumento musicale, scopro che in queste sere al teatro si proietta Metropolis di Fritz Lang con colonna sonora direttamente suonata dall’orchestra: voglio andarci!

Per il resto sono passeggi a caso seguendo la folla che esce dagli uffici, che se ne torna a casa, che va per negozi, che fa merenda nei mille bar di strada. Io passeggio per le minori e stilose rua da Quitanda, rua Sete de Setembro, rua da Alfandega, mi fermo per il sacro succo d’arancia spremuto al momento con fetta di torta al cioccolato, poi di fronte mi butto nella splendida Livraria da Travessa a spulciare libri: Platone, Nietzsche, Kant in portoghese, ma anche Rio dall’alto, Africa, politica, lettartura in lingua originale, monografie di Michelangelo; al piano di sopra, dove la libreria è mista a caffetteria, mi sorprende il rumore inconfondibile di una macchina che prepara un cappuccino buono.

Obama parte, io arrivo

Oggi è una giornata speciale per Rio de Janeiro: spazio aereo chiuso, vie bloccate, traffico intasato a Copacabana, motoristi che bestemmiano, polizia in allerta: mica per me! È che c’è Obama; è venuto a visitare Rio de Janeiro, per rendere omaggio alla potenza del Brasile, si è concesso un giro nella un tempo famigerata favela Cidade de Deus (quella del film), un pranzo con ricevimento al Teatro Municipal, una salita notturna al Corcovado per vedere la città meravigliosa illuminata al tramonto sotto le braccia del secondo Cristo più famoso del mondo. Si è lasciato appena intravvedere dalla massa di Carioca venuti per strada apposta per poterlo vedere, e adesso se ne va di già.

Obama parte, io arrivo. E Gabi che già scherza dicendo che sì, oggi con la partenza di Obama e il mio arrivo Rio ci guadagna: per me non serve chiudere la città!


Cupo il viaggio, nonostante uno splendido tramonto sopra le Alpi, con vista privilegiata sul Monte Bianco e poi sulla torre Eiffel, appena allietato dall’ultimo di Woody Allen e da un bel film giapponese, Hanamizuki, potente catalizzatore di molti miei pensieri di questi mesi. L’arrivo non è più agognato come anche solo la volta passata, eppure sono qui per grazia ricevuta siccome le notizie erano che col Brasile avevo finito.

In aeroporto i cartelloni pubblicitari che esaltano le caratteristiche locali sono le prime immagini per il viaggiatore o turista: sono per lui la conferma dei luoghi comuni su cosa visiterà (o vorrà volere visitare) ma anche sulla società. Torino accoglie con gigantografie della Mole e delle Langhe, a Caracas Chavez annuncia che ora il Venezuela è di tutti, a Rio de Janeiro la prima foto che vedi è il Cristo Redentore e il Pan di Zucchero, ma anche una magnifica panoramica delle cascate dell’Iguazù. Le cascate dell’Iguazù! In bilico sulle scale mi sono sorpreso a fermarmi per guardarle, non ci ho visto la foto che avevo davanti, ma le spettacolari e personali immagini impresse nella mente dalla visita che ho fatto a gennaio

Questa volta sono in zona Riachuelo – Fatima, un bairro ai piedi del bel quartiere antico elegante di Santa Tereza, e poco lontano dalla mitica avenida Mem de Sà che è la via della notte carioca nella nobile decaduta Lapa. Poco lontano, ma abbastanza da richiedere cautela già all’ora di cena e estrema attenzione la notte: la porzione di Santa Tereza qui sopra è quella che digrada e si perde nelle favelas sopra il tunnel Rebouças, e raggiungere e soprattuto superare la zona di Lapa presso gli archi e quindi la stazione Cinelandia della metropolitana non è per niente una faccenda da affrontare con leggerezza. Se penso che la prima sera con Fiorenzo ci siamo avventurati da soli allo sbaraglio proprio per le vie dietro gli archi! Curioso albergo, in una zona non di Centro e quindi con edifici di altezza normale, io infatti sono al quarto di sei piani, in un palazzo che, scendendo le scale, scopro avere la caratteristica di avere un odore diverso ad ogni piano: al quarto sa di ospedale, al terzo odora di fiammifero, al secondo puzza di cloro, al primo profuma di colazione, e al pian terreno, nella hall, già assaporo il profumo e l’odore della città meravigliosa che qui brulica di migliaia e migliaia di carioca, non turisti.

sabato 19 marzo 2011

150

Che fastidio questa pioggia fredda in un marzo più freddo del solito, le vallate liguri sono inondate di acqua che scorre sugli ulivi argentati e che sfonda i rami delle mimose coi fiori imbevuti come spugne e si riversa nei fondovalle a ridare dignità ai rigagnoli, che per breve tempo si esaltano e prendono un po’ tropo la mano sfogandosi nelle uniche giornate all’anno in cui contano qualcosa. Si torna a casa di corsa, combinazione è la serata della notte bianca a Torino e tutti si stanno riversando in città, così penso all’ingresso della tangenziale davanti alla stazione di Moncalieri, e invece e solo quella indecente rotonda in corso Unità d’Italia.

Torino piena: di pioggia, di gente, di aria di festa; per i 150 anni dell’Unità d’Italia succede quello che era successo durante le olimpiadi e anche di più: i torinesi riscoprono la loro città e i turisti si abituano ad aggiungere un’altra città che merita una visita e ormai anche un soggiorno intero. Non ricordo una simile folla per la città nel 2006, e sarebbe il solito discorso di chi ha perso un po’ di memoria o di chi vuol esaltare gli eventi, ma verament enel 2006 non vedevo la gente invadere tutte contemporaneamente le vie del centro di giorno e di notte, ormai la gente passeggia a piedi anche per le strade, e le macchine devono arrendersi a una tale e inaspettata folla anche nelle viuzze. Sarà merito delle vie pedonali recenti, merito della giornata finalmente senza la pioggia diluviante della sera prima, sarà merito forse della gente stessa che è uscita da casa a godersi la città o dei tanti turisti (stavolta italiani) che sono venuti a conoscere una città sempre ingiustamente sottovalutata.

Che spettacolo la “città grigia” (per i detrattori ignoranti) tinta di verdebiancorosso! Non c’è palazzo che non esponga almeno una bandiera, sono molto più numerose che per i mondiali di calcio, unico evento che sappia ripensare all’unità nazionale. E che spettacolo che da questa settimana per mesi e mesi la città sia finalmente tutta in vetrina: anche i cortili che spesso visito di nascosto prima di farmi beccare dai custodi sono finalmente visitabili, i piccoli palazzetti nascosti negli interni sono improvvisamente diventati dei capolavori per la città intera e non più solo per pochi come me, le Officine Grandi Riparazioni vengono riscoperte per il fascino di archeologia industriale che suscitavano in me già 7 anni fa quando erano ancora all’abbandono totale.

La città è vigorosa ed è riuscita a rinnovarsi, come ha detto pure Napolitano in discorso ufficiale, forse sorpreso pure lui. Ogni volta che vegono dei miei amici da fuori in visita a Torino questi rimangono sempre esaltati dalla città, lo facciano anche tanti di quei torinesi che se ne restano sempre chiusi in casa a lamentarsi. Ecco, in questi giorni di festa di tutti mi sento di portare un augurio ai torinesi: che la smettano di lamentarsi (lo so, quasi impossibile per dei piemontesi!) e che imparino una volta di più ad apprezzare la loro città che non sfigura di fronte a una marea di altre città inspiegabilmente sopravvalutate.

Di passaggio tra il soggiorno ligure e una nuova fase brasiliana, è sempre un immenso piacere stare a Torino.

venerdì 11 marzo 2011

Brucia il Re

Che vento martedì! La serata finale del carnevale di Nizza è stata rimandata a ieri sera: brucia il re del carnevale! A Nizza non si trova un posto libero, sono venuti tutti da fuori per godersi l’ultimo spettacolo , quindi tutti in spiaggia sui ciottoloni, scendendo le poche scalinate a fare imbuto, migliaia di persone vicino al castello, dove inizia la grande curva della Promenade des Anglais, curva perfetta come la mitica Copacabana ma con meno ecomostri, là si vede il Copacabana Palace, qua una sfilata di edifici eleganti su cui domina lo splendido Negresco, unica isola di luce. Hanno spento le luci, il re brucia in mare e chiude il carnevale, poi tocca ai fuochi d’artificio dal mare proprio come a Rio de Janeiro a capodanno, e intanto contro le facciate spente per l’occasione i pochi che si voltano riescono a vedere il gigantesco mascherone simbolo di questo carnevale sfilare al buio di soppiatto verso il luogo dello smantellamento.

Rimaniamo noi, gruppone di amici di Nizza francesi e stranieri, restiamo in spiaggia in una festicciola che mi ricorda il lual brasiliano mesi e mesi fa, con molto più freddo e molta meno sabbia, con molta più gente ma con le stesse belle sensazioni di qualcosa di promettente per il presente e i prossimi mesi.

mercoledì 9 marzo 2011

Avevo i templari dietro casa...

Tipicamente, uno riesce a non conoscere nulla della zona in cui abita, pur viaggiando e andando sempre in giro. Conosco la zona da 30 anni e stranamente iniziano ad essere troppi i luoghi che sto scoprendo solo ora, in parte perché trascurati, in parte perché scavalcati da altre visite, in parte per ignoranza. Seborga oggi ha racchiuso tutto questo: è dietro casa ma non ci vado da anni (l’ultima volta in bici credo 15 anni fa), per anni sono andato sempre nei soliti 3-4 posti, e solo la settimana scorsa ho scoperto che Seborga lega la sua storia ai cavalieri templari.

C’era una volta (…) un borgo adibito a sepolcro di sacerdoti dei Catari (Sepulcri Burgum: Seborga), poi divenuto principato del Sacro Romano Impero retto da un abate, un principato divenuto potente a sufficienza da potersi permettere una zecca di breve durata perché troppo fastidiosa per i sovrani dei regni a cui era legato il principato, poi acquistato da Vittorio Amedeo III di Savoia, solo che da lì in poi se ne è persa ogni traccia in tutti gli atti di passaggio tra un regno e l’altro, per cui a Seborga piace credere di essere un principato non appartenente all’Italia, semplicemente perché non si trova nessun atto ufficiale!

Questa la storia più o meno ufficiale, fatta più di omissioni che di atti. La sorpresa sono i cavalieri templari, affrescati sui muri di questo bellissimo minuscolo borgo circondato da mimose e ginestre famose nel mondo della floricoltura, e ricordati dai ciottolini della piazzetta disposti nella nota croce rossa su sfondo bianco.

In sostanza, qui nel 1117 San Bernardo di Chiaravalle raggiunge i confratelli inviati qui per proteggere un “grande segreto”, l’anno dopo il principe-abate Edouard consacra i primi cavalieri dell’ordine che quindi partono per Gerusalemme. Di ritorno per il concilio di Troyes si fermano di nuovo a Seborga nel 1127, dove San Bernardo di Chiaravalle nomina uno di loro, Hugues de Paynes, primo grande maestro della Povera Milizia di Cristo, giurando poi di mantenere il “grande segreto” ai piedi di un ulivo (del resto qui abbondano gli ulivi). Nel tempo, 15 gran maestri del tempo su 22 sono principi proprio di Seborga.

E’ una giornata fredda, sole a sprazzi, a Seborga passeggia poca gente, alcuni turisti attirati dalle leggende. Al borgo si accede piacevolmente per stradine disperse tra i terrazzi di ulivi, tra le mimose dai rami carichi per i fiori brillanti, vecchie case in pietra, immancabili agriturismi, orrende cisterne in cemento miseramente comuni in tutta la zona, strade tanto ripide da essere in cemento, e i prati che in Liguria appaiono solo oltre certe altitudini. Il piccolo borgo si gode in silenzio la sua posizione, del resto si viene qui solo ed esclusivamente per venire qui, essendo l’unica località della zona. Seborga si diverte della propria storia indistinguibile dalla leggenda, mostra una collezione di strumenti musicali, e accoglie frotte di "coloni" piemontesi.