sabato 8 gennaio 2011

Planetario Mato Grosso

Ma è il Giappone? La Cina? Medio oriente? Che ci fa una moschea bianco abbagliante sotto il sole cocente di Foz do Iguaçu? Che significano le statue colorate del tempio buddista con l'Illuminato dorato placidamente seduto a guardare il Paraguay appena oltre il fiume? Come mi spiega Fabio, anzi, Fàbio, (brasiliano di origini giapponesi) la cittadina di Foz do Iguaçu è piú che un avamposto del Brasile in faccia al Paraguay e all'Argentina, non essendo soltanto cittá di frontiera (grande smercio e contrabbando dal Paraguay, qui definito "il paese dei tarocchi"), ma una cittadina che vive indipendentemente dai suoi altisonanti confinanti, con le sue proprie universitá, il suo commercio, il suo parco nazionale delle cascate. Anche qui la storia migratoria del Brasile trova una pagina interessante: sono rappresentate oltre 40 nazionalitá, fosse anche per un solo individuo che ha mollato la patria per diventare brasiliano per qualche tempo. E allora si spiega la presenza di tempio e moschea, basta guardare alla storia migratoria del Paraná e del confine con il Paraguay: i giapponesi e i cinesi furono una popolazione numerosa tra chi si imbarcó in questo angolo di sudAmerica, mentre i libanesi (sempre loro, li si trova anche in Gabon a scambiare valuta in nero) ovviamente hanno costruito il commercio trans-frontaliero. E allora eccomi a passeggiare tra statue in resina dorate o dipinte allineate come l'esercito di terracotta cinese, a posare i piedi nudi sulla moquette nuova della seconda principale moschea del Brasile mentre tento di decifrare le scritte in arabo memore dei miei brevi studi di arabo. Fa un caldo pazzesco (tá quente pra caramba), con Fàbio e Kristine (tedesca di origini brasiliane, suona strano ma è vero) cerchiamo ombra sotto gli alberi del tempio e tra la vegetazione sulla sponda del fiume che è confluenza di Paraná e Iguazú, incontro di Paraguay Argentina e Brasile, tre paesi che si fronteggiano al mitico Marco das Trés Fronteiras in questo placido paesaggio coltivato a soia (OGM?) a poca distanza da resti della foresta casa dei Guaraní.

Il Mato Grosso... La scritta sul pullman è da rabbrividire: MATO GROSSO. Lo leggo gustandomelo lentamente questo nome che evoca profonditá della foresta nel cuore del continente. Lo leggo con soggezione mentre saluto con piacere e con una certa tristezza Nayara, la mia compagna di viaggio fino a Cascavél, che mi strappa una promessa di tornare a trovarla a Foz nel mio prossimo viaggio per l'Argentina; sempre cosí le conoscenze in viaggio... intensitá momentanea, poi quell'esilio piacevolmente volontario che é il tuo viaggio ma che é un abbandono delle persone valide che si incrociano per strada. Ma é bello pensare che in ogni parte del mondo ci sia un probabile compare, una possibile amica, un potenziale collega, una futura compagna.

Parte il pullman che il sole è appena sceso dietro al paesaggio agricolo appena ondulato del Paraná, è un viaggio notturno insieme ad altri 50 brasiliani che se ne vanno a trovare amici e parenti per il fine settimana nell'interno di questo grande continente, stavolta mi sono attrezzato anche io con l'asciugamano a proteggermi dal freddo assassino del condizionatore, ma é pur sempre poca cosa al fianco di professionisti del viaggio notturno con coperte e megacuscini. E da bravi professionisti cascano addormentati ai primi chilometri, io invece non riesco ad addormentarmi, sono troppo vivide le immagini delle cascate dell'Iguazú nella mia mente, troppo potente il rombo della massa d'acqua tra i salti di basalto, troppo carico quell'arcobaleno sotto i piedi, e ancora mi sembra di sentire la musica di Ennio Morricone.

Toledo? Mercedes? Altre cittadine dai nomi "esotici" per questo nuovo mondo, marco di quella storia costante di immigrazione che è LA storia del Brasile fatta di famiglie, di popolazioni che rappresentano tutto il mondo fino a formare una nuova popolazione: brasiliani senza ombra di dubbio, figli di indios e migranti e PER QUESTO brasiliani. Ma come sono queste cittá mi sembra ormai di saperlo giá, anche in questo ricco e benestante Paraná dalle aiuole a prato all'inglese, lo noto guardando sulle collinette e strade illuminate dei quartieri delle cittadine, quel solito reticolato squadrato artificiale che caratterizza forse il 90% delle cittá sul suolo americano tutto, cittadine che paiono tutte ordinate e uguali senza niente che sia in fondo veramente caratteristico, e una chiesetta in stile neogotico nel prato curato della piazza del centro non aiuta a farne una attrattiva da cartolina.

Come è grande il cielo nel Mato Grosso do Sul... Il pullman viaggia nella notte costeggiando il Paraguay in questo territorio che suppongo di campi e pascoli; luci piú che rare tutto intorno, mentre il pulllman prosegue illuminando per un breve istante il bordo della strada incrociando rari camion nel buio totale. Il cielo è pulito in questo angolo di mondo, talmente pulito che sembra essere il nero del cielo stesso a brillare, puntinato da stelle che paiono palloni tanto sono luminose. La Via Lattea che sale verticale è il gigantesco arco di volta che sorregge una volta celeste australe che vede Orione capovolto e la croce del sud, orgoglio di tante bandiere australi, brillare in cielo sopra i campi bui.

Tutto è grande nel Mato Grosso do Sul, piú grande dell'Italia stessa, tutto pascoli alternati a tratti di resti della primigenia foresta amazzonica. Dalle prime luci dell'alba prima di Campo Grande fino all'arrivo a Bonito alle 2 del pomeriggio è uno sfilare initerrotto di pascoli e fazendas, fazendas tanto grandi che a bordo della strada BR 060 se ne deduce la presenza solo dai monumentali portali di legno che danno accesso a strade sterrate che si perdono all'orizzonte. Sono centinaia di chilometri correndo di fianco a pezzetti di foresta isolata tra i pascoli, oppure di pascoli coperti da termitai rosso sangue, o ancora di mucche e cavalli che si abbeverano in laghetti tra le palme e gli alberi avvolti da liane. Ogni tanto una ferrovia, ogni tanto una fermata isolata, spesso per far scendere qualche fazendero di ritorno dalle commissioni in città, raramente un paese, sempre il verde smeraldo della vegetazione contro la terra rossa che sfuma in lontananza diventanto azzurrino col blu del cielo. Il paesaggio è appena ondulato, dolce, ogni tanto una strada lineare come una retta tracciata con il righello sale su una collinetta da cui si riesce a vedere a distanza di 100 km e oltre: lo stesso bellissimo paesaggio fino a perdita d'occhio, interrotto appena da qualche blanda vallata e da qualche rilievo coperto di foresta.

In questo paesaggio idilliaco, avvicinandosi al Paraguay e alla Bolivia, sorge Bonito, cittá di accesso al mitico Pantanal. Qui finisce la mia traversata, sbarco in ciabatte, coi calzoni lunchi da foresta che usavo in Gabon, con la stessa maglietta che uso da 4 giorni (la lavo ogni notte...), lo zaino da viaggio in spalla, con poche cose al seguito, che libertá.
Il pomeriggio di distensione, dopo aver conosciuto Willian che mi ospiterá per il mio soggiorno nel Pantanal, è un accenno di paradiso: il balneario municipale alla luce del tardo pomeriggio. Insieme a brasiliani, paraguayani e boliviani faccio il bagno in un fiume cristallino sotto le fronde di alberi tropicali mentre grossi pesci nuotano incuranti di noi a caccia di cibo. Arare e pappagalli rossoblu e gialloverdi fischiettano svolazzando tra gli alberi.


Il percorso: Foz do Iguaçu, Cascavel, Dourados, Campo Grande, Sidrolandia, Jardim, Bonito; 1100 km.


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