venerdì 9 marzo 2012

La Germania tropicale




Cognomi che posso leggere sulle lapidi: Hering, Altenburg, Shrader, Honecke, Krauss. I nomi sono anch’essi tedeschi, ma già compaiono alcuni nomi latini: Alberto, Cristiano. Il cimitero della chiesa luterana di Blumenau, un bell’edificio bianco in stile gotico tra palme e manghi, spiega scolpita sulle pietre la storia di questa cittadina. Come a Petròpolis, come a Nova Friburgo, qui sono completamente spiazzato nel vedere case a graticcio, tetti a doppio spiovente, mattoni e legno da costruzione e decorativo, insegne con boccaloni di birra, ma sono anche spiazzato nel vedere tanti bellissimi occhi azzurri e altrettanti lunghi capelli biondi per le strade di Blumenau. Questa cittadina nell’accogliente interno di Santa Catarina è la massima espressione della “Germania tropicale”, quel grande lascito di architettura, cultura e popolazione dei coloni tedeschi protagonisti di quella parte di storia del Brasile di metà XIX secolo con la colonizzazione, insieme agli italiani, dei territori meridionali dell’allora impero del Brasile. Qui si celebra la seconda oktoberfest al mondo, così come a luglio la Festitàlia.
A cena davanti allo splendido Castelinho Moellmann il signore al tavolo vicino si rivolge al cameriere in tedesco… Ha appena invitato a tavola un signore a cui deve essere andata male la giornata, non ha trovato lavoro e per oggi è rimasto bloccato qui a Blumenau, per cui gli offre la cena. Io origlio i loro discorsi e presto sento parlare delle famiglie “mia mamma è italiana, mio papà tedesco”: ecco spiegata la storia del Brasile meridionale. “Ho imparato un po’ di tedesco in famiglia, l’italiano invece l’ho imparato in giro”; e in effetti già nel viaggio di arrivo fino a qui avevo notato un accento decisamente diverso rispetto a quello a cui mi sono abituato in due anni di Rio de Janeiro: qui si parla con una cadenza più piana, sembra di sentire degli italiani che parlano portoghese, e da quanto intendo al tavolo probabilmente è vero, soprattutto tra gli anziani, che avranno imparato prima italiano e tedesco che non il portoghese. Magari questo particolare accento mi aiuterà a sentirmi meno estraneo?
I due compagni di tavola improvvisati adesso iniziano a recitare le loro parole in italiano, ma non mi va di interromperli presentandomi come italiano, voglio gustarmi questo loro dialogo senza contaminare i loro pensieri. Adesso parlano di dialetti, uno sostiene che l’italiano vero è sorto negli anni ’70, con la televisione, perché prima gli italiani parlavano “50 dialetti e tra loro non è che si capissero molto”, è fantastico sentire questo brasiliano parlare dell’Italia dal suo punto di vista di discendente di coloni.
Torno a prendere il pullman, il mio accento italiano non sfugge alla signora che aspetta con me alla fermata. Lei è di famiglia tedesca, forse pensando agli italiani mammoni anche in Brasile si diverte a chiedermi se a casa in Italia non hanno nostalgia di me quando sono così lontano.

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