lunedì 26 marzo 2012

Domenica mattina sull'isola di Vitòria

C’è gente sdraiata sulla sabbia, altra se ne sta all’ombra delle palme svaccata sull’erba, alcuni sono in acqua (non tanti), altri bevono birra sotto l’ombrellone, e alle mie spalle l’immancabile partita a calcio domenicale. Il quadretto osservato dalla passeggiata, a una certa distanza alla battigia, mi fa venire immediatamente in mente la “domenica pomeriggio sull’isola della Grande Jatte” di Seurat.

Domenica pomeriggio alla spiaggia di Vitòria

Sul limite del prato polveroso tra spiaggia e calçada (il marciapiede-passeggiata a motivi bianchi e neri di tutte le migliaia di Avenide Atlantica di questo paese), complice la luce abbagliante del sole a picco a mezzogiorno e l’orizzonte di industrie e petroliere, noto una certa trasandatezza, o forse è soltanto la mancanza di ostinata cura a cui ero abituato nel sud del Brasile. Penso allora al lungomare di Libreville in Gabon, lungo la grande strada di scorrimento, la spiaggia trasandata, rari tronchi di palma per panche, chioschi raffazzonati e venditori ambulanti di fotografie fatte e stampate sul momento. Là però di bagnanti quasi non ce ne sono, siccome in Africa alla gente di andare a passare la giornata in spiaggia importa poco. Qui però alle spalle so di avere un paese sviluppato per quello che può, un paese in crescita inarrestabile, e non un povero paese ricco ma depredato e mantenuto ben al di sotto delle proprie possibilità.
Vitòria, capitale di Espìrito Santo [Eshpiritu S(a)ntu, soprattutto per chi ha l’accento carioca], tra i piccoli stati brasiliani, apparentemente in secondo piano anche se non come i misteriosi Acre e Rondonia dispersi nella foresta amazzonica. E’ una cittadina di media grandezza (anche per gli standard americani, con 250mila abitanti), adagiata tra il mare e la stretta baia in questo paesaggio di piana costiera (baixada) solcato da corsi d’acqua nelle cui incisioni resiste miracolosamente la foresta primaria tanto che mi sembra di sorvolare la foresta, là immensa, e le paludi del Gabon. Ancora, il Gabon… Quel Gabon, insieme a Congo, Zaire, Angola, che milioni di anni fa era tutt’uno proprio con questi luoghi in cui mi trovo adesso: qua la Serra, là i Monts de Cristal, qua il Rio Doce, là l’Ogooué e soprattutto il Congo, e ora un Oceano.

Tentativi di balneazione

Questo è lo sbocco sul mare del Minas Gerais, lo dimostra la stazione capolinea della ferrovia da Belo Horizonte, dalle cui gigantesche miniere provengono i minerali trattati nelle enormi industrie siderurgiche di Vitòria. La ferrovia naturalmente è prevalentemente mineraria, siccome i passeggeri qui preferiscono gli onibus che impiegano meno tempo, esiste comunque un treno passeggeri più per turisti viaggiatori che altri. Lunghissimi treni “americani” tagliano le paludi e le montagne; le ferrovie brasiliane utilizzano le stesse locomotive, gli stessi carri, gli stessi standard delle più famose ferrovie nordamericane.

La torta ragno


Una delle cose che mi piace di quando sono in una città che non sia la mia è comportarmi come se ne fossi un abitante, senza il bisogno di dover correre tra un monumento e l’altro in una sorta di caccia alla foto da cartolina, ma vivendo la città andando in giro magari in un punto qualsiasi insieme a migliaia di altre persone. A Rio, in queste ore di scalo tra Navegantes e Vitòria, vado a trovare Gabi a casa sua e insieme andiamo a fare una passeggiata per Botafogo.
Gabi mi conosce bene e sa dove portarmi: al suo bar preferito delle torte. Siamo sulla strada che costeggia la splendida baia di Botafogo (bagno sconsigliato per inquinamento), chiusa al fondo dall’imponente Pan di Zucchero e in fondo da Niteroi oltre il mare. La torta prescelta è una nuova “torta ragno”, per il motivo a ragnatela disegnato col cioccolato nero sopra una copertura di panna…. Accompagna il tutto il consueto succo d’arancia, che qui a Rio de Janeiro resta insuperabile per sapore rispetto a ogni altra città in cui l'ho assaggiato.
Con Gabi ci raccontiamo le novità in cima alla terrazza dello Shopping Botafogo, affacciato splendidamente sul Pan di Zucchero, in questa giornata normale tra amici ormai già quasi di lunga data.


L’aeroporto Santos Dumont è in pieno centro a Rio de Janeiro, atterrare qui o decollare, lungo la pista che lancia gli aerei in faccia al Pan di Zucchero, significa avere una vista unica sulla città.
Sorvolare l’infinita Zona Norte, spalmata di indistinguibili favelas e quartieri dal basso valore abitativo, vedere le enormi arterie stradali tagliare distese di casette e baracche, vedere a un certo punto la Igreja da Penha incollata sopra a un roccione piantato nella città, seguire la teleferica del pacificato Complexo do Alemao (ricordate i carri armati in città a novembre 2010?), seguire il gran canyon di grattacieli che è la avenida Rio Branco, provare a indovinare il profilo della costa prima del seppellimento con spianate di Flamengo e Gloria.
Soprattutto, volando verso est, tralasciando l’orrenda Sao Gonçalo, è una sorpresa osservare Niteroi, vedere come sia l’immagine speculare di Rio de Janeiro dall’altra parte della baia, solo meno urbanizzata e meno stuprata da ecomostri: roccioni come il pan di Zucchero, lagune, quartieri tra laguna e mare, barre sabbiose edificate, architetture di Niemeyer, lunghe spiagge ricurve, montagne panoramiche.

sabato 10 marzo 2012

Le dune di Joaquina



Salendo la grande duna di Joaquina mi sembra di essere sulla cresta finale di una montagna innevata nelle Alpi, quelle creste con la neve tirata dal vento in cui si cammina un passo alla volta, con corda e ramponi, rigorosamente seguendo la pista tracciata di chi è passato prima. Qui si sale in costume e ciabatte.

Mentre salgo, l’acustica perfetta di questi luoghi di sabbia mi porta le urla di entusiasmo dei surfisti che scendono queste dune, alcuni impacciati, altri riescono a concedersi il lusso di una breve serpentina prima di finire impanati anche loro. Molti invece preferiscono stare a guardare il paesaggio delle dune lontane fino all’Oceano e degli acquitrini nei ventri delle dune più piccole, quasi fosse una miniatura delle mitiche lagunette nel Lençois Maranhense. Più in basso, tra i giochi di luce dei profili delle dune, seguo alcune rare tracce come piste di carovane in questo paesaggio blu elettrico e oro.


Cammino lungo altre creste, tirate dal debole vento e modellate dal mio passaggio, la sabbia liquida cancella subito quasi del tutto i segni del mio passaggio. Spunta un solitario ciuffo d’erba: stando alle mie nozioni di geologia questa duna potrebbe rimanere qui a lungo.




Florianòpolis

L’isola di Santa Catarina è il paradiso privato di Florianòpolis, la città che due anni fa, nelle primissime settimane di Brasile, mi era stato sufficiente vedere in una foto soltanto per decidere che un giorno avrei voluto essere proprio qui. Dal centro della città due ponti la collegano alla terraferma, “il continente”, così lo chiamano, esattamente come i siciliani chiamano la terra appena al di là dello stretto.

Passeggio nella città delle modelle (Adriana Lima, Gisele Bundchen) tra abbondanti occhi azzurri e capelli biondi, in un calore inaudito e in una abbagliante luce tropicale insieme a gente noncurante di magliette e vestiti pezzati. Siamo tutti in cerca di riparo sotto i maestosi fichi barbuti della fresca Praça XV, dove mi gusto una buona tapioca con cocco e il sudamericanissimo doce de leite; studenti, vagabondi, acquai (sì, acquai, che girano con la loro tanica di acqua per dare rinfresco con un bicchiere), anziani che giocano a domino o a carte popolano le stradine nei dintorni della cattedrale metropolitana.

La sensazione mentre mi aggiro per le stradine di Floripa (che è il nome affettuoso per Florianòpolis) è di essere in una cittadina caraibica, per lo meno così la fa sembrare ai miei occhi la sua architettura coloniale che mi ricorda gli edifici che vedevo in Venezuela, ma mi sembra anche talvolta di essere in una città mediterranea del sud. Il mercato coloniale sembra il luogo più animato della città: i bar, i ristorantini, i negozietti riuniti nella “camelaria” (sembra che i brasiliani amino definire con nomi o immagini arabi tutto quanto riguarda il commercio, altrimenti anche il quartiere mercatale di Rio non si chiamerebbe Saara), i banchi di carne e formaggi e soprattutto del pesce, artigianato per turisti; scommetto che un tempo si affacciava sul mare, pronto a ricevere le merci direttamente dalle navi, adesso ha davanti a sé una spianata di strade e svincoli per gli enormi terminal stradali e l’accesso al ponte per il continente.

Praça XV
Cattedrale in Praça XV














Finalmente un leader - Finalmente un muro!

Dal terminal central partono tutte le linee per l’isola. Percorrerla mi ricorda in ogni momento la Gwada, in effetti quest’isola potrebbe benissimo essere una piccola isola delle Antille, con il suo capoluogo, le montagne, le lagune, i sentieri, le grandi dune.

In viaggio verso Florianòpolis

venerdì 9 marzo 2012

La Germania tropicale




Cognomi che posso leggere sulle lapidi: Hering, Altenburg, Shrader, Honecke, Krauss. I nomi sono anch’essi tedeschi, ma già compaiono alcuni nomi latini: Alberto, Cristiano. Il cimitero della chiesa luterana di Blumenau, un bell’edificio bianco in stile gotico tra palme e manghi, spiega scolpita sulle pietre la storia di questa cittadina. Come a Petròpolis, come a Nova Friburgo, qui sono completamente spiazzato nel vedere case a graticcio, tetti a doppio spiovente, mattoni e legno da costruzione e decorativo, insegne con boccaloni di birra, ma sono anche spiazzato nel vedere tanti bellissimi occhi azzurri e altrettanti lunghi capelli biondi per le strade di Blumenau. Questa cittadina nell’accogliente interno di Santa Catarina è la massima espressione della “Germania tropicale”, quel grande lascito di architettura, cultura e popolazione dei coloni tedeschi protagonisti di quella parte di storia del Brasile di metà XIX secolo con la colonizzazione, insieme agli italiani, dei territori meridionali dell’allora impero del Brasile. Qui si celebra la seconda oktoberfest al mondo, così come a luglio la Festitàlia.
A cena davanti allo splendido Castelinho Moellmann il signore al tavolo vicino si rivolge al cameriere in tedesco… Ha appena invitato a tavola un signore a cui deve essere andata male la giornata, non ha trovato lavoro e per oggi è rimasto bloccato qui a Blumenau, per cui gli offre la cena. Io origlio i loro discorsi e presto sento parlare delle famiglie “mia mamma è italiana, mio papà tedesco”: ecco spiegata la storia del Brasile meridionale. “Ho imparato un po’ di tedesco in famiglia, l’italiano invece l’ho imparato in giro”; e in effetti già nel viaggio di arrivo fino a qui avevo notato un accento decisamente diverso rispetto a quello a cui mi sono abituato in due anni di Rio de Janeiro: qui si parla con una cadenza più piana, sembra di sentire degli italiani che parlano portoghese, e da quanto intendo al tavolo probabilmente è vero, soprattutto tra gli anziani, che avranno imparato prima italiano e tedesco che non il portoghese. Magari questo particolare accento mi aiuterà a sentirmi meno estraneo?
I due compagni di tavola improvvisati adesso iniziano a recitare le loro parole in italiano, ma non mi va di interromperli presentandomi come italiano, voglio gustarmi questo loro dialogo senza contaminare i loro pensieri. Adesso parlano di dialetti, uno sostiene che l’italiano vero è sorto negli anni ’70, con la televisione, perché prima gli italiani parlavano “50 dialetti e tra loro non è che si capissero molto”, è fantastico sentire questo brasiliano parlare dell’Italia dal suo punto di vista di discendente di coloni.
Torno a prendere il pullman, il mio accento italiano non sfugge alla signora che aspetta con me alla fermata. Lei è di famiglia tedesca, forse pensando agli italiani mammoni anche in Brasile si diverte a chiedermi se a casa in Italia non hanno nostalgia di me quando sono così lontano.

giovedì 1 marzo 2012

Se San Paolo avesse il mare

San Paolo e non più Rio de Janeiro, qualcosa sta cambiando: la mia nuova destinazione brasiliana non è più Rio, ma, inaspettatamente, il mitico stato di Santa Catarina, quello della splendida Florianòpolis. Santa Catarina è, insieme al Paranà e al Rio Grande do Sul, il Sud del Brasile, noto per l’efficienza dei servizi e per la massiccia immigrazione tedesca e italiana del passato, basti vedere una cartina per leggere Blumenau (con la sua Oktoberfest seconda solo a Monaco), Nova Trento, Witmarsum, Schoreder, Marema, Treviso, oltre a non poter non notare una certa abbondanza di occhi azzurri tra i locali. E posso confermare la favoleggiata cura e pulizia dei luoghi rispetto per esempio a Rio de Janeiro e dintorni.

Al termine di una giornata intera di viaggi e di grand tour degli aeroporti, dopo Torino, le Alpi, Parigi, l’Oceano, San Paolo, ecco finalmente verso mezzanotte l’ignota Navegantes, di cui apprendo essere una destinazione internazionale. Internazionale per chi, visto che l’aeroporto è minuscolo? Insieme a frotte di Argentini col loro inseparabile mate al mattino faccio il bagno all’estremità della mezzaluna della lunga e bella spiaggia di Balneàrio Camboriù, nella splendida Costa Verde catarinense.

L’impatto è notevole, perché se San Paolo avesse il mare sarebbe così: una quinta di altissimi grattacieli. Sono tutti alberghi, in questa località turistica che probabilmente è il divertimentificio di questa parte di America del Sud, e allora dopo la prima sorprendente visione mi chiedo se non sia invece un enorme ecomostro questa località esclusivamente turistica, che scopro essere considerata la Copacabana del sud. Il paragone regge: la mezzaluna, la Avenida Atlantica, la passeggiata a onde bianche e nere, l’Oceano e le sue onde, un Cristo redentore alle spalle, e la quinta di palazzoni. Basta andare di poco verso l’interno per rendersi conto che proprio di una quinta si tratta e nulla più: già dal secondo isolato gli edifici tornano bassi, alle spalle di una facciata di edifici di quaranta piani con annessa piattaforma per gli elicotteri in cima a grattacieli che in alcuni casi sembrano davvero degli esili fiammiferi piantati nella sabbia che si specchiano sul bagnasciuga.





Per incontrare paesaggi più naturali è sufficiente, strano ma vero, prendere le passerelle del Pontal Norte, verde e intonso promontorio che chiude a nord la grande spiaggia municipale. Quando i grattacieli vengono nascosti alla vista dai fitti alberi della mata atlantica appare una splendida spiaggetta che mi ricorda con nostalgia alcuni luoghi della Guadeloupe, e oltre il promontorio stesso la lunghissima Praia do Buraco, deserta, ventosa, con grandi onde: a brasiliani e argentini piace passeggiare per questa lunghissima spiaggia oppure fare surf con le sue onde generose.

Stasera si è messo a diluviare, la spiaggia e la passeggiata si sono svuotate, resto a guardare i fulmini colpire chissà quale grattacielo lontano.