Provo a cercare qualche mappa del Ciad, chiedendo in giro
se si trovano delle cartine, un po’ per interesse personale, un po’ per
conoscere i ciadiani e parlare del loro Paese, siccome so che fa sempre piacere
riscontrare interesse nel proprio Paese da parte di uno straniero. Una gran
fatica, tutto quello che trovo sono delle cartine approssimative stampate su
volantini per scopi professionali oppure delle carte da parete semplificate e
aggiornate al 1964.
Mi torna in mente che la cultura delle mappe e delle
cartine non esiste fuori dall’Europa, dove tutte le indicazioni sono
approssimative. Ricordo la rarità, e a pagamento, di una carta ben fatta in un
parco nazionale in Brasile. Ricordo le indicazioni tracciate a caso quanto
basta per far arrivare a destinazione i visitatori o i clienti. Ricordo anche l’inesistenza
completa a Rio de Janeiro, almeno fino al 2013, cioè un anno prima dei
mondiali, di mappe dei percorsi delle linee dei pullman. E mi viene in mente
anche di non avere mai visto mappe in mano a un sudamericano o un africano, che
si passano le informazioni indicando i quartieri e le vie: le mappe sono per
gli europei o per i nordamericani, il fatto di consultarle per strada li
identifica subito come turisti o come possibili prede di scippi.
Ma senza mappe sento che mi manca qualcosa, anche se devo
anche ammettere che quella delle cartine è una mia mania, non tanto passione,
siccome non posseggo nessuna mappa di valore, una mania che mi porto dietro in
ogni gita in montagna, in ogni paese in cui vado, in ogni città in cui mi
trovo. Del resto le cartine non solo so leggerle per motivi universitari,
lavorativi, alpinistici, ma le so anche disegnare.
Così mi trovo a N’djamena e non trovo piantine della città
e carte del Ciad, mi manca decisamente qualcosa. Google Maps o Google Earth non sono la stessa cosa
ovviamente, pur essendo una meraviglia. Voglio una cartina cartacea!
Trovo due cartine alla parete in uno degli hotel della
città.
Una raffigura N’djamena, anche se solo una porzione. La
parte della città mostrata sta spalmata sulla sponda orientale dello Chari,
dirimpetto al Camerun.
Un’altra è una mappa del Ciad, vedo raffigurate le tre
terribili fasce geografiche del Paese che lo smembrano in tre entità che
lasciano poca possibilità di sviluppo: N’djamena sta in quella in quella fascia
di Sahel che divide le grandi sabbie del Sahara dal buco verde della foresta
equatoriale.
Guardo il lago Ciad, disegnato con la sua estensione di un
tempo, altro che il misero 10% che ne rimane oggi… Seguo i percorsi dei fiumi
che provengono dalla foresta equatoriale e dalla savana e riversano le loro
acque ricche di materia organica nella pozza del deserto, attraversando le
steppe saheliane. Cosa doveva essere questa porzione d’Africa un tempo,
15-20'000 anni fa, quando il lago Ciad era un gigantesco lago che riceveva
acque dalle foreste meridionali e dalle montagne settentrionali? Cosa doveva
essere la parte nord, quegli spettacolari massicci del Tibesti oggi aridi fatti
di pinnacoli e di monti scabrosi come carta vetrata e un tempo montagne
verdeggianti? Cosa doveva essere la parte pianeggiante che oggi è solo una
distesa di sabbia e vento in cui un tempo scorrevano fiumi carichi di acqua
dell’altopiano dell’Ennedi, fiumi che tento di indovinare sulla cartina
seguendo l’allineamento delle oasi?
I monti del Tibesti, definite le più belle montagne del
deserto, e l’altopiano dell’Ennedi… luoghi mitici per i viaggiatori dei decenni
passati, quando anche viaggiare in Africa era non facile ma per lo meno sicuro.
Ce lo diceva in Provenza una còrsa gagliarda che raccontava come a 18 anni nei
primi anni ’70 se ne era andata in Algeria nel deserto…
Intanto, mi sa che devo accontentarmi di Google Maps.
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