venerdì 24 maggio 2013

Italia tropicale?

Come Borges diceva che la storia dell’Argentina si può leggere sulle pagine dell’elenco telefonico, così è sulle facce della gente che si può studiare la storia della colonizzazione tedesca e italiana del Brasile, sui nomi delle persone, sulle lapidi, e anche sulle targhe delle strade e dei monumenti, oltre che guardando gli stili architettonici. Victor Stern, discendente tedesco di Domingos Martins con gli occhi chiari sotto una fine montatura di occhiali metallica e i capelli un tempo biondi. Schumacher, negozio di articoli regalo l’isolato adiacente a dove sorge il ristorantino Fritz e Frida in un edificio a graticcio. Supermercato “Ronchi” di Araguaya, pietre ornamentali “Marmi Bruno Zanet” presso Viana (che va in Italia per essere lavorato e poi torna miracolosamente indietro come “marmo di Carrara”…). Ma soprattutto Roberta Marques, la capotreno: volto e corporatura abbondante indubbiamente tedesca, nome italiano, cognome brasilianizzato da un eloquentissimo “Marx”: lei è la storia della colonizzazione tedesca e italiana in Brasile.





Italia e Germania, come nella cosiddetta Germania tropicale che ho conosciuto anche a Santa Catarina, si sono riversate qui portandosi dietro un patrimonio di cucina, di cultura e abitudini, di artigianato, di colture, generando folclore e feste italiane e oktoberfest varie. Vennero qui invitati dall’impero brasiliano, scacciati da guerre e carestie in patria, si trovarono di fronte alla foresta impenetrabile, ma un po’ la testardaggine un po’ forse il riconoscere come vagamente familiari alcuni ambienti e paesaggi su queste montagne ed ecco che seppero creare questa porzione di Brasile idilliaco tra le montagne dello Espìrito Santo.

E’ un cippo di pietra bianco all’ombra di un albero isolato tra le piantagioni di caffè dei primi rilievi della splendida Serra Capixaba il confine tra le diverse colonizzazioni: di qua, verso il mare, i portoghesi, di là, sulle montagne, italiani e tedeschi, senza contare addirittura una minuscola comunità norvegese. Pare quasi di distinguere delle fasce, delle aree predilette dalle varie comunità, man mano che si avventuravano entro il territorio incontaminato e spesso inospitale messo a loro disposizione dal governo, fasce dettate principalmente da caratteristiche geografiche.

Portoghese è, ovviamente, la prima fascia, la porzione costiera, colonizzata fin dal XVI secolo con alcune delle città più antiche del Brasile: Vila Velha (1535) e Vitòria (1551). I portoghesi non si erano estesi oltre il municipio di Viana, posta ai piedi delle montagne che costituiscono quella lunghissima catena montuosa che fa da spalla agli altopiani interni, che si erge a vera e propria muraglia dove forma le montagne di Rio de Janeiro (Petròpolis, Teresòpolis), le “scale” nell’interno di Santa Catarina, e che stacca prepotentemente dal mare San Paolo e Curitiba.

Il municipio di Marechal Floriano
Le montagne, scartate dai portoghesi, accolgono i discendenti dei coloni italiani e tedeschi che venivano invitati dal governo brasiliano a colonizzare le regioni non sfruttate del Paese. La fascia sulle montagne è a prevalenza tedesca. Nel 1847 sono infatti i coloni tedeschi i primi ad arrivare da queste parti per sfuggire alle guerre, insieme ai pomerani, e fondano a Santa Isabel quella che oggi è la bella cittadina di Domingos Martins, il capoluogo “tedesco” della regione, ma anche altri paesini come Marechal Floriano, tutti impreziositi da alcune casette a graticcio (finto: il legno è dipinto oppure simulato con piastrelle o listelli di legno, ma in generale tutte le statue e le architetture che richiamano stili non autoctoni sono decisamente kitch), nomi tedeschi, caratteri antichi tedeschi sui monumenti, chiese austere, e tante salsicce con crauti e birra (un eloquentissimo ristorante Fritz e Frida). Ma è proprio Domingos Martins il paesino più prevalentemente tedesco (sebbene non tanto quanto Blumenau a Santa Catarina), dove gli affari si concludono se si parla il tedesco e dove la grande piazza ancora sembra la piazza designata per accogliere tutta la comunità al passeggio in un tradizionale “sabato del villaggio”.
Due altissime palme sottili come spilli fanno la guardia alla severa chiesetta luterana (che si vanta campanilisticamente di essere la prima chiesa-luterana-con-torre del Brasile), un monumento celebra in caratteri tedeschi antichi personaggi illustri della colonizzazione, e una fontana riproduce un mulino in miniatura, per non mancare mai di mostrare o ricordare la laboriosità, non si sa se a sé stessi o ai portoghesi. In un angolo della grande piazza chiama l’interesse una corte con dei colorati stand posticci intitolati ai lander tedeschi, luogo dove nelle giornate di festa e nei fine settimana si allestiscono mercatini di prodotti tipici e di artigianato in mostra: trovo le ricamatrici, una signora che fa del pane speziato, produttori di dolciumi come il signor Stern, con cui scambiamo la ricetta della “palha italiana” versione tedesca e del simile salame di cioccolato che non conosce, oggettini da casa.

Domingos Martins
Domingos Martins: la corte
dei Lander tedeschi












L'ingresso di Araguaya
Gli italiani, giunti a partire dal 1851 per sfuggire alla fame, si trovarono ad occupare i territori ancora più lontani dal mare, già sulla porzione dell’altopiano, a costituire così una ideale terza fascia di colonizzazione. Bisogna dire che le fasce non sono affatto nette e le comunità non sono per niente impermeabili tra loro, anzi: spesso nei paesini tedeschi non mancano gli italiani e viceversa, del resto qui italiani e tedeschi si rispettano e si sono sempre rispettati, reputandosi gli uni con gli altri gente che lavora, a differenza della considerazione che avevano per i portoghesi-brasiliani accusati di essere meno operosi o meno affidabili. Nel microscopico e curatissimo paesino di Araguaya, capolinea della linea ferroviaria turistica, dove la linea procede per Rio de Janeiro, il cartello di ingresso annuncia forte e chiara l’origine dei suoi abitanti: “Benvenuti alla nostra terra”, in italiano. Rafforzano il concetto i manifestini della recente “festa italiana”, ma anche l’emporio Ronchi, e una casa rosa in stile italiano di inizio secolo. 
Nella stazioncina, quando si scopre che sono italiano, mi parlano della festa italiana che si tiene qui, mi mostrano i costumi folcloristici, mi raccontano della loro polenta, parlano di famiglie venete e calabresi, che peccato non essere qui all’epoca della festa, mi sarebbe piaciuto avere più tempo per fermarmi a parlare con degli italiani come mi era capitato in Venezuela. Mi riferiscono che più oltre, verso il Minas Gerais, il paese di Venda Nova de Imigrantes è la capitale dei prodotti tipici italiani, e a metà strada anche la spettacolare Pedra Azul è a maggioranza italiana, pur non mancando i tedeschi e una micro comunità norvegese. La presenza italiana pervade tutta la regione, la manifestazione più evidente sta principalmente nel cibo, ma non solo: pacchi di pasta fresca e barattoli di sughi e pesto in vendita nelle botteghe, pavimenti in cotto, cantine di vini locali, produttori locali di marmellate varie e liquore di amaretti, polenta, certi lineamenti decisamente più mediterranei.

Inviti alla Festa Italiana di Araguaya
Pasta, pesto,
pomodori secchi...
















Dal belvedere di Vista Linda lo sguardo spazia sulle bellissime montagne, un’aquila teutonica decisamente kitch fa da guardia a questo splendido paesaggio, parte brasiliano, parte tedesco, parte italiano. Guardo le stradine tra le piantagioni sui versanti scoscesi ma mai troppo ripidi, tra lembi di foresta atlantica e piantine di caffè, e mi viene voglia di un giro in bici come se fossi nelle Langhe.

Vista Linda

Vista Linda

2 commenti:

  1. Com'e' che fai per acquisire tutte le info sui siti che visiti? Hai letto prima di partire? Leggi invece di lavorare?
    Forse forresti entrare a far parte attiva della comunita' italiana, magari stabilendoti li'?
    Papa'

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  2. Visito, osservo, scopro, parlo con le persone...

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