sabato 25 maggio 2013

Il "café cagado"




Dolci rilievi montagnosi, piantagioni di eucalipto le cui chiome svelano la trama fitta e artificialmente regolare degli alberi il cui legname viaggia in treno alla cartiera di Aracrux per produrre cellulosa (le piantagioni di eucalipto le chiamano “soldi in sette anni”, tanto impiegano a crescere gli alberi), bananal di banani poderosi e rigogliosi dalle foglie grandi come amache, le bacche rosse delle piantine di caffè talvolta ombreggiate da propizi banani isolati, la foresta fitta della Mata Atlântica chiazzata di viola dalla quaresmeira (“l’albero della quaresima”, dai fiori viola, appunto), splendide bromelie ed eliconie dai fiori arancioni. E’ un Brasile idilliaco quello meno noto delle montagne dello stato di Espirito Santo, terra di colonie italiane e tedesche, di case a graticcio, pastifici e vigneti, di aziende famigliari, di agriturismi (pare che in Brasile sia stato introdotto qui per la prima volta), ferrovie spettacolari, sport di montagna. Scopro tutto questo durante un mio fortunoso periodo di attesa mentre sono a Vitòria, grazie ad una serie di coincidenze molto propizie.

Tra i prodotti dell’Espìrito Santo che si distinguono particolarmente figura il caffè, considerato delle migliori qualità tra le produzioni esistenti in Brasile; eppure in Europa siamo più portati a pensare che il caffè sia caratteristico del Minas Gerais o di San Paolo, forse perché il pensiero correi ai “baroni del caffè” che resero prospero lo stato di San Paolo. Non bevendo caffè mi spiace parecchio non essere in grado di poter apprezzare questa eccellenza: perle ai porci, come si usa dire. Mi accontento di odorare il profumo del caffè tostato in un sacco di iuta rigorosamente marcato “café do Brasil”, con la mia mano che affonda nei chicchi, proprio come piace fare ad Amélie.














Le piantagioni di caffè della Serra Capixaba si adagiano sui versanti scoscesi delle montagne come sui dolci rilievi delle piccole vallate, inframmezzate da fitte porzioni di Mata Atlântica, per questo un uccello chiamato Jacu ricopre un ruolo molto importante nella produzione di una particolare qualità di caffè. Il Jacu è un uccello galliforme scuro che vive nella foresta, la presenza delle piantine di caffè lo attrae e lui si avventura nelle piantagioni a mangiare le bacche del caffè, ma è particolarmente esigente: mangia esclusivamente le bacche migliori, quelle più mature, selezionandole tra le altre bacche ancora acerbe o già troppo mature. Ma i semi del caffè sono duri, l’apparato digerente non è in grado di digerirli, per cui il Jacù li espelle con le feci, spargendole per la foresta e per le piantagioni, qui intervengono squadre di agricoltori che organizzano vere e proprie spedizioni di cacca per raccogliere gli escrementi impreziositi dei semi migliori, per questo il nome affettuoso di questo singolare e buon caffè, considerato una delle migliori qualità esistenti (e quindi costosissimo), è “café cagado”. Dagli intestini del Jacù alle migliori caffettiere d’Europa.


Quaresmeiras



Caffé e eucalipti



venerdì 24 maggio 2013

Italia tropicale?

Come Borges diceva che la storia dell’Argentina si può leggere sulle pagine dell’elenco telefonico, così è sulle facce della gente che si può studiare la storia della colonizzazione tedesca e italiana del Brasile, sui nomi delle persone, sulle lapidi, e anche sulle targhe delle strade e dei monumenti, oltre che guardando gli stili architettonici. Victor Stern, discendente tedesco di Domingos Martins con gli occhi chiari sotto una fine montatura di occhiali metallica e i capelli un tempo biondi. Schumacher, negozio di articoli regalo l’isolato adiacente a dove sorge il ristorantino Fritz e Frida in un edificio a graticcio. Supermercato “Ronchi” di Araguaya, pietre ornamentali “Marmi Bruno Zanet” presso Viana (che va in Italia per essere lavorato e poi torna miracolosamente indietro come “marmo di Carrara”…). Ma soprattutto Roberta Marques, la capotreno: volto e corporatura abbondante indubbiamente tedesca, nome italiano, cognome brasilianizzato da un eloquentissimo “Marx”: lei è la storia della colonizzazione tedesca e italiana in Brasile.





Italia e Germania, come nella cosiddetta Germania tropicale che ho conosciuto anche a Santa Catarina, si sono riversate qui portandosi dietro un patrimonio di cucina, di cultura e abitudini, di artigianato, di colture, generando folclore e feste italiane e oktoberfest varie. Vennero qui invitati dall’impero brasiliano, scacciati da guerre e carestie in patria, si trovarono di fronte alla foresta impenetrabile, ma un po’ la testardaggine un po’ forse il riconoscere come vagamente familiari alcuni ambienti e paesaggi su queste montagne ed ecco che seppero creare questa porzione di Brasile idilliaco tra le montagne dello Espìrito Santo.

E’ un cippo di pietra bianco all’ombra di un albero isolato tra le piantagioni di caffè dei primi rilievi della splendida Serra Capixaba il confine tra le diverse colonizzazioni: di qua, verso il mare, i portoghesi, di là, sulle montagne, italiani e tedeschi, senza contare addirittura una minuscola comunità norvegese. Pare quasi di distinguere delle fasce, delle aree predilette dalle varie comunità, man mano che si avventuravano entro il territorio incontaminato e spesso inospitale messo a loro disposizione dal governo, fasce dettate principalmente da caratteristiche geografiche.

Portoghese è, ovviamente, la prima fascia, la porzione costiera, colonizzata fin dal XVI secolo con alcune delle città più antiche del Brasile: Vila Velha (1535) e Vitòria (1551). I portoghesi non si erano estesi oltre il municipio di Viana, posta ai piedi delle montagne che costituiscono quella lunghissima catena montuosa che fa da spalla agli altopiani interni, che si erge a vera e propria muraglia dove forma le montagne di Rio de Janeiro (Petròpolis, Teresòpolis), le “scale” nell’interno di Santa Catarina, e che stacca prepotentemente dal mare San Paolo e Curitiba.

Il municipio di Marechal Floriano
Le montagne, scartate dai portoghesi, accolgono i discendenti dei coloni italiani e tedeschi che venivano invitati dal governo brasiliano a colonizzare le regioni non sfruttate del Paese. La fascia sulle montagne è a prevalenza tedesca. Nel 1847 sono infatti i coloni tedeschi i primi ad arrivare da queste parti per sfuggire alle guerre, insieme ai pomerani, e fondano a Santa Isabel quella che oggi è la bella cittadina di Domingos Martins, il capoluogo “tedesco” della regione, ma anche altri paesini come Marechal Floriano, tutti impreziositi da alcune casette a graticcio (finto: il legno è dipinto oppure simulato con piastrelle o listelli di legno, ma in generale tutte le statue e le architetture che richiamano stili non autoctoni sono decisamente kitch), nomi tedeschi, caratteri antichi tedeschi sui monumenti, chiese austere, e tante salsicce con crauti e birra (un eloquentissimo ristorante Fritz e Frida). Ma è proprio Domingos Martins il paesino più prevalentemente tedesco (sebbene non tanto quanto Blumenau a Santa Catarina), dove gli affari si concludono se si parla il tedesco e dove la grande piazza ancora sembra la piazza designata per accogliere tutta la comunità al passeggio in un tradizionale “sabato del villaggio”.
Due altissime palme sottili come spilli fanno la guardia alla severa chiesetta luterana (che si vanta campanilisticamente di essere la prima chiesa-luterana-con-torre del Brasile), un monumento celebra in caratteri tedeschi antichi personaggi illustri della colonizzazione, e una fontana riproduce un mulino in miniatura, per non mancare mai di mostrare o ricordare la laboriosità, non si sa se a sé stessi o ai portoghesi. In un angolo della grande piazza chiama l’interesse una corte con dei colorati stand posticci intitolati ai lander tedeschi, luogo dove nelle giornate di festa e nei fine settimana si allestiscono mercatini di prodotti tipici e di artigianato in mostra: trovo le ricamatrici, una signora che fa del pane speziato, produttori di dolciumi come il signor Stern, con cui scambiamo la ricetta della “palha italiana” versione tedesca e del simile salame di cioccolato che non conosce, oggettini da casa.

Domingos Martins
Domingos Martins: la corte
dei Lander tedeschi












L'ingresso di Araguaya
Gli italiani, giunti a partire dal 1851 per sfuggire alla fame, si trovarono ad occupare i territori ancora più lontani dal mare, già sulla porzione dell’altopiano, a costituire così una ideale terza fascia di colonizzazione. Bisogna dire che le fasce non sono affatto nette e le comunità non sono per niente impermeabili tra loro, anzi: spesso nei paesini tedeschi non mancano gli italiani e viceversa, del resto qui italiani e tedeschi si rispettano e si sono sempre rispettati, reputandosi gli uni con gli altri gente che lavora, a differenza della considerazione che avevano per i portoghesi-brasiliani accusati di essere meno operosi o meno affidabili. Nel microscopico e curatissimo paesino di Araguaya, capolinea della linea ferroviaria turistica, dove la linea procede per Rio de Janeiro, il cartello di ingresso annuncia forte e chiara l’origine dei suoi abitanti: “Benvenuti alla nostra terra”, in italiano. Rafforzano il concetto i manifestini della recente “festa italiana”, ma anche l’emporio Ronchi, e una casa rosa in stile italiano di inizio secolo. 
Nella stazioncina, quando si scopre che sono italiano, mi parlano della festa italiana che si tiene qui, mi mostrano i costumi folcloristici, mi raccontano della loro polenta, parlano di famiglie venete e calabresi, che peccato non essere qui all’epoca della festa, mi sarebbe piaciuto avere più tempo per fermarmi a parlare con degli italiani come mi era capitato in Venezuela. Mi riferiscono che più oltre, verso il Minas Gerais, il paese di Venda Nova de Imigrantes è la capitale dei prodotti tipici italiani, e a metà strada anche la spettacolare Pedra Azul è a maggioranza italiana, pur non mancando i tedeschi e una micro comunità norvegese. La presenza italiana pervade tutta la regione, la manifestazione più evidente sta principalmente nel cibo, ma non solo: pacchi di pasta fresca e barattoli di sughi e pesto in vendita nelle botteghe, pavimenti in cotto, cantine di vini locali, produttori locali di marmellate varie e liquore di amaretti, polenta, certi lineamenti decisamente più mediterranei.

Inviti alla Festa Italiana di Araguaya
Pasta, pesto,
pomodori secchi...
















Dal belvedere di Vista Linda lo sguardo spazia sulle bellissime montagne, un’aquila teutonica decisamente kitch fa da guardia a questo splendido paesaggio, parte brasiliano, parte tedesco, parte italiano. Guardo le stradine tra le piantagioni sui versanti scoscesi ma mai troppo ripidi, tra lembi di foresta atlantica e piantine di caffè, e mi viene voglia di un giro in bici come se fossi nelle Langhe.

Vista Linda

Vista Linda

lunedì 20 maggio 2013

Il Parque da Fonte Grande



Bella vista su Vitòria, Vila Velha oltre il canale, e la Serra Capixaba

Un grande montagnone di granito sta piantato nel bel mezzo dell’isola di Vitòria. Un roccione incastonato nel piatto litorale dell’Espirito Santo, le acque lo hanno isolato alla maniera della risacca del mare quando scava canali intorno ai sassi conficcati nella sabbia della battigia, per cui il braccio sud è un vero e proprio stretto delimitato dai panettoni rocciosi e levigati di Vila Velha a strapiombo sul mare, che se non fosse per il sole a picco e la vegetazione esuberante potrebbero quasi ricordare dei fiordi o anche i grandi laghi alpini, il braccio nord invece è un quieto canale vegetato a mangrovie. La città gli si sviluppa intorno, immancabili favelas non ardite quanto quelle di Rio conquistano pian piano le sue pendici.

Strada per la cima
Una comoda strada lastricata a granito taglia la foresta e porta alla cima della montagna, uno spiazzo coperto da una foresta di antenne di telecomunicazione. Una casa del parco riceve i visitatori che salgono fin qui per ammirare il bel panorama dalle due passerelle belvedere, luogo d’elezione per il servizio fotografico di matrimonio a giudicare dalla quantità di neosposi o quasi-sposi che vedo qui in posa. Ne avevo già visti nelle spiagge di Vitòria, e a quanto mi dicono pare che stia diventando una moda scegliere delle location anche tra le splendide montagne capixaba; tutto questo sembra non avvenire a caso, è anche questo un segnale di come il Brasile stesso stia riscoprendo questa parte di Brasile meno popolare, altrimenti non avrei conosciuto frotte di turisti brasiliani.

Al belvedere

Il cielo è coperto, niente colori abbaglianti tropicali, in compenso almeno evitiamo, il compare colombiano ed io, di arrivare zuppi di sudore in cima. Con questo cielo il sentiero didattico nella foresta sembra già quasi buio. Arriviamo al belvedere con una piacevole brezza: vista sopra il canale, il santuario di Sao Joao là in basso che pare Superga, la stazione museo ferroviario, la Ilha do Prìncipe interrata, la corona delle montagne capixaba. La passerella di legno è un trampolino sospeso nel vuoto in questo quieto pomeriggio quasi ovattato.



sabato 18 maggio 2013

Vitòria e il sogno italiano


Ho conosciuto il sogno italiano. Sulla spiaggia di Camburì, sulla calçada (la passeggiata) ho bevuto del succo di maracujà ai bei tavolini di un chiosco in cui certi segnali non lasciavano molto spazio a dubbi: una bandiera italiana (probabilmente quella dell’Ungheria ma appesa in verticale), un menù misto brasiliano – italiano, il buon portoghese del cameriere tradito però, nei momenti di esitazione, dalle interiezioni tipiche di chi è madrelingua italiano. Scopro quindi che il chiosco è di un italiano che ha assunto due inservienti italiani insieme a un brasiliano e una brasiliana. Il chiosco in spiaggia in Brasile: il sogno italiano.

 Che cosa spinge a venire proprio qui, a Vitòria, a cercare il sogno italiano? Indubbiamente sono belle le spiagge dello Espìrito Santo, sono anche particolarmente belle e rinomate qua in Brasile le donne capixaba, forse per l’apporto dei caratteri italiani e tedeschi delle colonie nelle montagne, le montagne dell’interno sono un luogo idilliaco, però bisogna riconoscere che questa non è una parte di Brasile di quello che noi intendiamo come “il Brasile”: il Brasile di chi sogna il chiosco in spiaggia è quello di Rio de Janeiro, ma soprattutto quello delle mitiche spiagge di Recife e Fortaleza, di solito nessuno parla o tanto meno conosce Vitòria. Girando per Vitòria e i dintorni mi sono quindi chiesto cosa abbia da offrire questa città.


Catedral Metropolitana
Vitòria, una città che di solito si considera insieme alla dirimpettaia Vila Velha appena oltre lo stretto che rende Vitòria un’isola, entrambe sono tra le città più antiche del Brasile (1551 e 1535 rispettivamente), ma, come ogni città brasiliana che abbia un minimo di storia, gli edifici storici e i monumenti sono veramente pochi superstiti annacquati da un mare di orrendi palazzi e oscene spianate (come alcuni isolotti nella baia ora inglobati nella terraferma, come scopro da una bellissima foto del 1954). Quello che si riesce ancora a vedere in Vitòria lascia intuire quanto potesse essere bella la cittadina un tempo, con la bianca cattedrale neogotica svettante tra le belle casette basse colorate (quelle che restano), tra una scalinata e uno scalone monumentale, col sofisticato palazzo Anchieta soffocato dalle navi cargo a poche decine di metri.
Il Palaço Anchieta
Tutto qui l’interesse storico per questa città, il resto sono classici quartieri residenziali di classi più o meno benestanti e borgate semi povere lambite da immancabili favelas. La parte nuova della città, quella che si considera benestante nel compiacimenti di chi ci abita, si stende già sulla terraferma appena oltre il canale nord, area in cui non mancano i parchi urbani.


La Pedra da Cebola
Nel Parque da Pedra da Cebola, dove i graniti e gli gneiss si sfogliano come cipolle, appunto, e dove una curiosa pietra scanalata adagiata sul suolo domina il parco, con il compare colombiano Jùlio César conosciamo Brunna, che sta portando in visita il suo amico peruviano Elvis, occasione perfetta per domandare come ci si diverte a Vitòria: il suo suggerimento è il Triàngulo das Bermudas, la zona dei locali nota in tutto il paese, come nel più noto triangolo atlantico questo è un luogo in cui ci si perde, non in senso fisico però. Per me, abituato a uscire al quadrilatero di Torino giorno e sera, è stato decisamente sorprendente aver trovato un’altra denominazione geometrica per indicare la zona designata al divertimento, peccato che la realtà non corrisponda al mio pensiero. Ci ero già stato al Triàngulo: arrivando in rua Joao da Cruz angolo Joaquim Lìrio, mi ero aspettato di trovare decine e decine di locali, bar, ristoranti, frotte di gente per strada, gran via vai e piacevole fracasso, mi ero ritrovato invece un gruppuscolo di localini bar e ristoranti concentrati lungo la viuzza e nei primi metri delle due-tre strade che la incrociano, nulla più. Niente di quel fracasso preannunciato da tanto nome pomposo, ma i soliti barucci con le solite sedie in plastica gialla o rossa, più qualche ristorantino e una gelateria che serve gianduia. Tutto qui? Questa è la famosa vita notturna di Vitòria? Nella piazza principale di un paesino provenzale c’è più animazione. Me la spiega Brunna la mia delusione: l’area, acquisendo valore, ha visto un tale aumento degli affitti di recente che molti locali hanno deciso di trasferirsi altrove. Ci suggerisce quindi di scoprire un’altra zona molto animata, presso l’università UFES, e non a caso: già dalle 18 molti più localini iniziano a riempirsi di gente, per la verità dall’età media un po’ più bassa, ma l’area ha un’atmosfera molto più piacevole.

Oltre ad uscire per locali ai brasiliani piace moltissimo andare a correre e fare sport in spiaggia la sera (il pomeriggio tardi, quando si esce da lavoro o scuola e fa già buio, per cui conta già come sera), così come al mattino presto: corsa, bici, pattini, skate, ma anche scuole di beach volley, calcio in spiaggia, futvòlei.

Pare che non si faccia il bagno, a Vitòria, acqua troppo inquinata. E’ frustrante andare in spiaggia e vedere che nessuno fa il bagno, che anzi nessuno sta in spiaggia durante la giornata, troppe spiagge hanno divieto di balneazione, il perché lo lascia intuire l’enorme complesso siderurgico al fondo della spiaggia, pare il panorama dell’Ilva di Taranto. Non si salvano dal divieto neppure la Ilha do Boi e la Ilha do Frade, isolette e penisole per ricchi capixaba, consolandosi almeno col rumore del mare e con la vista di Vitòria al tramonto che sembra quasi bella, con le sue montagne dietro agli edifici quasi come se fossimo a Rio de Janeiro.

Torno a pensare al sogno italiano di chi viene qui. Se devo pensare alla città non ci trovo quel gran guadagno, è forse questo che stavano cercando i due camerieri italiani sulla spiaggia di Camburì?