Un muraglione eretto con pietre di durissima selce e l’ovale delle tribune dell’anfiteatro appena fuori, ecco quello che resta nei secoli dei secoli di tante città romane, il cui resto visibile della gloria materiale dell’impero, giunto fino a qui, si riduce ai ruderi di costruzioni militari e di svago. Anche a il nome, a dire il vero, ricalca la sua eredità latina: sono a Calleva Atrebatum, oggi Silchester, cittadella romana del Berkshire, il suo nome risuona del mitico “chester”, chiarissimo rimando al “castrum” romano, e quel “Sil” iniziale che, a fare i latinisti della domenica, sembra proprio rifarsi a quella selce lucida e durissima con cui eressero il muraglione di difesa.
Dell’”accampamento di selce”, in realtà, non rimane molto altro: quardo all’interno delle mura, in una bella giornata di sole, ed ecco gli stessi dolci pascoli e blandi rilievi che si vedono anche alle mie spalle. Immancabili pecore pascolano dove c’erano le case della cittadina, piccoli ciuffi di foresta separano le proprietà dei pascoli. Si riesce a vedere tutto il perimetro del miraglione, provo a immaginarmi la città. Il muraglione, come ogni costruzione romana è stato trasformato in cava di pietra per costruire gli edifici nei secoli successivi dai pigri o disastrati medievali, proprio qui ne ha beneficiato la bellissima chiesetta protestante piantata nel suo immancabile giardinetto di erba rasa e brillante disseminata di lapidi di ardesia, perché se fossero anch’esse in selce sarebbe troppo duro scolpire i nomi e le date, e i vari Caesar, il cognome più diffuso su queste lapidi (non a caso, si direbbe), non potrebbero farci sapere del loro “passaggio in questa vita” nel 1777, o nel 1785, ma anche nel 2002.
In un pascolo appena oltre la chiesetta eccon un pezzo d’America che mi raggiunge anche qui: tre alpaca lanosi pascolano l’erba che nel loro continente non esiste. Sono uno bianco, uno bruno, uno nero. Quello bianco mi tiene d’occhio a distanza, quello nero ha la lana in testa che sembra un taglio anni ’50.
Sui paletti del recinto, Madame Anne annuncia le sue favolose torte fatte in casa.
Dell’”accampamento di selce”, in realtà, non rimane molto altro: quardo all’interno delle mura, in una bella giornata di sole, ed ecco gli stessi dolci pascoli e blandi rilievi che si vedono anche alle mie spalle. Immancabili pecore pascolano dove c’erano le case della cittadina, piccoli ciuffi di foresta separano le proprietà dei pascoli. Si riesce a vedere tutto il perimetro del miraglione, provo a immaginarmi la città. Il muraglione, come ogni costruzione romana è stato trasformato in cava di pietra per costruire gli edifici nei secoli successivi dai pigri o disastrati medievali, proprio qui ne ha beneficiato la bellissima chiesetta protestante piantata nel suo immancabile giardinetto di erba rasa e brillante disseminata di lapidi di ardesia, perché se fossero anch’esse in selce sarebbe troppo duro scolpire i nomi e le date, e i vari Caesar, il cognome più diffuso su queste lapidi (non a caso, si direbbe), non potrebbero farci sapere del loro “passaggio in questa vita” nel 1777, o nel 1785, ma anche nel 2002.
In un pascolo appena oltre la chiesetta eccon un pezzo d’America che mi raggiunge anche qui: tre alpaca lanosi pascolano l’erba che nel loro continente non esiste. Sono uno bianco, uno bruno, uno nero. Quello bianco mi tiene d’occhio a distanza, quello nero ha la lana in testa che sembra un taglio anni ’50.
Sui paletti del recinto, Madame Anne annuncia le sue favolose torte fatte in casa.
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