Fortuna che è pieno di brasiliani coi loro bei sotaque di San Paolo (do interwriowr), di Rio (trintaissseish pessowassh do Riu) e rari di Curitiba (Curiciba) e Sergipe (Sehrhjipi), e anche di argentini con le loro elle e esse introvabili, tutti che parlano anche un inglese basico ma di pronuncia ineccepibile e inarrivabile per la media italiana e purtroppo anche per gli statiunitensi del sud… Compagni di lavoro: Carla, Jonas (memorabile la sua battuta “lo sapevi che il 99% delle persone che muoiono in Cina sono cinesi?”), Deidimar e Diego brasiliani, Luciana e Victor argentini.
E’ un’altra piattaforma, l’ennesima: altre persone, altri modi di lavorare, altri modi di fare, altri orari, altri pregi e altri difetti, tutto quanto da scoprire occupando come al solito la prima settimana; sono sperso anche stavolta mentre cerco passaggi segreti tra le passerelle e i corridoi, ancora a volte facendo la strada più lunga per andare in bagno o facendo tutti i 3 piani dell’edificio abitabile per riuscire a trovare la mensa.
Siamo sempre al largo di Cabo Frio, che si riesce a scorgere tra la foschia marina in alcune giornate. Intorno c’è una folla di altre 5-6 piattaforme più relative navi di appoggio più pescherecci che ci forniscono il pesce dei dintorni (dintorni di una piattaforma??), mica come in Venezuela che stavamo soli e isolati nel bel mezzo della baia tra Venezuela e Colombia.
Altra piattaforma, altra stanza: soliti condizionatori impostati su gelo di alta montagna, ganci e ripiani assenti (ma nel Nuovo Mondo non sono arrivati?), bagno non isolato acusticamente (in una stanza da 4 in cui si dorme in 2) nessun tavolino, cuscini ultrapiatti (ma a che servono?).
Il volo è dall’aeroporto turistico di Jacarepaguà che sta dietro la Pedra da Gàvea in Barra da Tijuca, (l’aeroporto da cui è partito Obama il giorno del mio arrivo). Scopro un paesaggio nuovo anche lungo la strada per l’aeroporto: la avenida Niemeyer, sopraelevata che corre sopra gli scogli (da noi sarebbe un ecomostro) di fianco alla foresta tropicale e sotto l’immensa parete verticale della Pedra da Gàvea, che buca i Dois Irmaos (la silhouette di tutte le foto di Ipanema) e sfila in Sao Conrado dopo aver lambito l’immensa Rocinha, 350'000 persone abbarbicate nella favela maggiore del Brasile e quell’aspetto, strano ma vero, di vecchia città mediterranea fatta di stradine e casette sovrapposte.
Luce del mattino, cielo clemente, foschia scenografica: Rio mi sfila interamente di fianco, in tutta la sua bellezza di città gigantesca e stretta tra mare e montagne con una varietà di paesaggio così sorprendente che ne avrebbe da vendere ad alcune nazioni intere.
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