lunedì 18 aprile 2011

Ilha Grande



C’è tutto per far sembrare Ilha Grande un’isola antillese. Storie di pirati olandesi, inglesi e francesi. Spiagge gialle incontaminate e mare cristallino. Palme alte e sottili fin sul bagnasciuga, a svettare brillanti nel cielo. Foresta impenetrabile, piena dei suoni degli animali e di radici;
dal mare echeggia misteriosamente. Ristorantini di pesce in spiaggia. Relitti affondati o naufragati. Una colonia penale tristemente famosa per la sua durezza durante la dittatura militare, tanto da guadagnarsi il titolo di Alcatraz brasiliana, ma anche Cayenna. Storie di indios.

La giornata inizia prestissimo, e finisce tardi. E tutto sempre nel mio stile: cibo quasi zero, acqua poca, ore di sonno minime; mi sostenta un pacco di wafer, relitto dei miei souvenir dall’Italia che spesso apprezzano i miei compagni di lavoro. Andare a Ilha Grande da Rio de Janeiro è un viaggio lungo (e anche un certo salasso), ma merita ogni minuto e ogni real. Tutte le montagne di Rio de Janeiro, le stesse che si modellano nel Pan di Zucchero e nel Corcovado, proseguono a ovest lungo la costa, a creare la rinomata Costa Verde fatta di grandi picchi rocciosi e vaste insenature, talvolta collegate da sottili strisce di sabbia lunghe decine di chilometri oppure a creare magici paesaggi di fiordi e microarcipelaghi. Ad Angra dos Reis il paesaggio è molteplice: ricorda la Liguria per i monti scoscesi e a picco sul mare, ricorda le penisole dalmate per la profondità di certe insenature, e soprattutto ricorda i caraibi con la visione di Ilha Grande là nella baia, grande e imponente oltre ogni immaginazione. Ilha Grande è tetra ma anche brillante, e soprattutto è la definizione di “incontaminatezza”. Sull’isola non esistono veicoli a motore e nemmeno strade, solo sentieri. Per raggiungere una destinazione sull’isola o si marcia a lungo per le lunghe distanze o si prende la barca, non esistono altre vie.

E tutto davvero mi ricorda l’anno vissuto in Guadalupa. Non soltanto i paesaggi e le spiagge da cartolina, ma anche il capoluogo. Si sbarca ad Abraao, in una vasta insenatura sormontata dal Bico do Papagaio, roccione che corrisponde all’iconografia caraibica: un pietrone, un dente che spunta dai rilievi coperti di foresta e che lui stesso ospita alberi sulle sue pareti quasi verticali esclusa la cima. Il Bico sovrasta Abraao e la sua chiesetta bianca, una chiazza brillante che introduce la cittadina. Il villaggio si spalma sulla costa, coperto da palme brillanti. Solo due strade principali, il lungomare e una via interna intitolata ovviamente a Getulio Vargas, pià una serie di traverse costellate di casette e villette, residenze private e pousadas, bar e agenzie turistiche, in mezzo alle palme. Sono le 8 di mattina e il borgo è animato dall’attracco delle due barche principali della giornata, un grosso viavai di turisti, isolani, viaggiatori, vacanzieri. Chi sale in barca con zainoni e calzoni e scarpe e un viso esperto e chi sbarca in costume e ciabatte con l’aria di chi ancora ha tutto da scoprire. Tutto mi ricorda la Désirade, nei paesaggi, e le Saintes, nell’animazione mattutina.

In barca, al ritorno, ascolto un signore che racconta a un visitatore che ha conosciuto al molo tutto quello che sa dell’isola. Lui ci ha vissuto a lungo, ne conosce i luoghi più ignoti e le storie. Il suo amico lo ascolta, più che altro lo asseconda, senza parlare, forse volendo che faccia silenzio per poter riposare, ma ascolta educatamente. La barca si fa largo tra le centinaia di siolotti e scogli minori di questa splendida baia, Io nel dormiveglia al tramonto di una giornata lunga e stancante, mi godo le sue storie di relitti e pirati, di prigionieri famosi e di ville misteriose.


Il percorso: Rio de Janeiro - Angra dos Reis


Visualizzazione ingrandita della mappa

domenica 17 aprile 2011

Favela Vidigal, Liguria

Quella avenida Niemeyer che sotto la roccia strapiombante corre sinuosa e stretta tra le palme e le ville, ben trafficata in questo fine pomeriggio, tagliata nella roccia viva sopra a scogli e calette, col sole tramontato alle spalle del roccione, sembra proprio l’Aurelia. E quelle piccole case con stradine tortuose e strette e le scalinate e i passaggi tra le case, sembrano proprio dei carrugi liguri, tra piccole costruzioni di cemento e mattoni a vista aggrappate alla roccia con i passaggi stretti tra due pareti e in fondo, in basso, il mare lontano. E anche il traffico, i giochi di precedenze, i panni stesi fuori, la gente appollaiata sulle sedie o sulle balaustre in ciabatte e costume, sembra tutto soprendentemente un trapianto di Liguria e in generale di Mediterraneo qui alla favela Vidigal, appena a ovest della esclusiva Leblon e ai piedi dei coreografici Dois Irmaos protagonisti di ogni tramonto da Ipanema. Anche l’infinita sensazione di trascuratezza e sciatteria non può non far venire in mente la Liguria, solo che qui l’età media è estremamente bassa, tutti ragazzini e giovani e pochi anziani.

Pauroso il traffico. Sono rari furgoncini (i van, trasporto pubblico) e rarissime macchine, qui comandano i motorino: per forza, unici in grado di percorrere agilmente le strette e irte strade della favela: arrancano in salita, si lasciano cadere spenti in discesa, ti sfiorano che sembra un assalto continuo, e non sempre le luci piantate in faccia aiutano a togliersi dalla strada. Chi vuole raggiungere le proprie case deve poi continuare prendendo una delle tante scalinate di cemento ammuffito ripide come scale a pioli, insinuandosi tra le case degli altri e infilandosi tra resti di foresta fitta franati chissà dove e cicatrizzati con gettate di cemento.

E con François, piacevolissimo compare con cui a Nizza solo due mesi fa ci eravamo incontrati per fare escursioni, qui, più mimetici che mai, ci godiamo lo splendido panorama al calar della notte. Da questo mirador in cima alla favela si gode la favela adagiata sul versante di questo immenso roccione tagliato dalle nuvole, circondato da foresta. Sopra di noi è un planetario di aquiloni incredibilmente alti nel cielo che i bambini fanno volare appollaiati sopra i tetti. Sotto, una città di 50'000 abitanti ammassati in piccole case coi tetti piani e le cisterne blu dell’acqua piovana, le stradine nascoste, il brulicare di umanità sulle scalinate. Paesaggio così mediterraneo che non riesco a non pensare a una versione di Modica non in pietra. E là in fondo, brillante e meravigliosamente variegata, la striscia di Ipanema stretta tra oceano e laguna, e poi tra oceano e montagna, e la laguna chiusa tra Ipanema e altre montagne, il Cristo e il Pan di Zucchero che spunta sopra altre montagne, Niteroi lontana oltre la baia. Che città!

Solo quel tipo sullo spiazzo, insieme a noi, con lo sguardo da duro di un ragazzino che si cala nella parte del duro più per poterlo dire alle ragazze che non per altro, che sta lì a scrutare i tetti vestito in ciabatte e maglietta e con un cappottone di pelle nero, che tiene una racchetta da tennis, ci chiediamo cosa stia facendo. La risposta migliore la dà la custodia della racchetta, rigonfia al centro di un oggetto tubolare: dunque, una racchetta vera e propria non è, un violino direi nemmeno… Se ce lo eravamo dimenticati, rammentiamo subito che questa favela non è ancora stata pacificata come altre (come quelle della zona nord liberate dalla ormai famosa irruzione di novembre), per cui d’accordo che è una delle più popolari tra gli stranieri, passi che addirittura già alcuni stranieri affittino qui e si comprino addirittura una casa (3000 euro appena), ma evidentemente ancora esiste un grosso interesse dei trafficanti a controllare questa favela che del resto ha la grande Rocinha appena dietro il roccione, la più famigerata.

Noi scendiamo, ormai è buio, le lucine delle casette di fronte alla strada che precipita in basso è l’esatta immagine dei presepi oppure delle turistiche stoffe dipinte che si trovano a Copacabana. E in una pizzeria-pasticceria che trasmette la novela das 6, il mio immancabile (e, qui a Vidigal, anche il più economico) pezzo di torta al cioccolato.

sabato 16 aprile 2011

"Rio"

Vedere il nuovo film di animazione “Rio” proprio a Rio de Janeiro, non ha prezzo! Se escludo i 27 reais (carissimo) del biglietto 3D.

Davvero piacevole vedere questo film e non solo riconoscere luoghi che ho visto e che ancora mi mancano come il sambodromo, il bonde di Santa Tereza, la Rocinha, vedere uccelli ormai familiari e anche qui piccoli e pericolosi scimmiottini con i ciuffetti bianchi sulla testa che tanto divertono i turisti attorno al Pan di Zucchero. E con i carioca che si esaltano al vedere la propria città e ridono al vedere le “cartoline” brasiliane e carioca del film.

Ma è stata una bella giornata in generale, a passeggiare per Copacabana e a scoprire Leme insieme a Valeska rediviva, a scoprire il succo di cacao (i semi tali e quali a come sono nella cabossa del frutto di cacao, un succo denso bianco e dallo strano gusto agrodolce), a cenare arabo al chiosco.

Pessima chiusura: al ritorno verso casa il motorista del van decide di fare una strada diversa, prende una via contromano verso Urca, ma al fondo ci aspetta la polizia. Il poliziotto ci ferma e grida con la pistola puntata al motorista, gli intima di scendere, ma il motorista cincischia incredulo, così il poliziotto urla e per un attimo sposta la pistola puntandola verso noi passeggeri per convincere il motorista che non sta scherzando, e finalmente, mentre noi passeggeri ne abbiamo avuto abbastanza e scendiamo in fretta, il motorista scende, spaventato dall’evenienza che il poliziotto possa dare di pazzo e colpire uno di noi.

Non oso pensare quale debba essere il trattamento riservato a infrazioni ben più gravi di un contromano in una via deserta. La polizia di Rio de Janeiro è troppo abituata a una grossa criminalità e a situazioni pericolose e ad usare una durezza che in Italia non conosciamo. Noi torniamo a piedi, lui non so come se la sia cavata.

giovedì 14 aprile 2011

C'è sempre una partita da vedere in Brasile!

Un bimbo alto biondo come uno svedese scarta a fatica un bimbo indio dai capelli neri lisci lucenti, passa la palla in mezzo, il suo compagno secco e nero tira e il portiere, un omettone che potrebbe essere metà francese e metà coreano vola verso il palo e devia, spettacolare.

C’è sempre una partita da vedere in Brasile! Non voglio qui ricalcare uno dei grandi luoghi comuni per dire che il calcio è la passione dei Brasiliani, o che il calcio domina la vita, o le solite cose. La gente si riunisce ai vari bar, guarda la partita, commenta, urla, bestemmia, fa la formazione, imbocca l’allenatore, tifa, esattamente come in Italia o in Tunisia o in qualunque altro paese del mondo in cui il calcio è sport nazionale. Semmai, qui in Brasile il calcio spezzatino è già realtà: ci sono partite in televisione ogni giorno, ad ogni ora. Al pomeriggio tardi, quando è già sera in questo autunno tropicale, ecco giocare Botafogo, Fluminense, Vasco da Gama, Santos, Corinthians, ma anche Macaé, Avaì, squadre non note internazionalmente. Si giocano tutto. E soprattutto giocano sempre. Coppe, campionati statali, campionati nazionali, c’è anche la copa libertadores con le squadre uruguayane, argentine, colombiane. E dopo questa abbuffata di calcio americano, anzi prima perché c’è il fuso orario, ci sono ovviamente i maestri europei, coi campionati italiano spagnolo e inglese, oltre alla coppa dei campioni, ci mancherebbe! Anche se magari è solo per vedere all’opera i tantissimi emigrati sportivi americani, i vari Julio César, Doni, Melo, ma anche i gran capelloni argentini Messi, Tevez.

Dicevo, non è per raccontare le solite storie sul calcio, perché basterebbe cambiare qualche nome e questo testo andrebbe benissimo anche in Spagna o Italia, è per raccontare di altre partite, quella che stavo descrivendo coi bambini, appunto.

Mentre lasci Ipanema col tramonto infuocato sopra i Dois Irmaos con le lucine della favela Vidigal (da noi sarebbe una delle Cinque Terre…), mentre il Pan di Zucchero in fondo alla curva perfetta di Copacabana riceve i visitatori più romantici e fortunati (o sfortunati, se come succede spesso proprio al tramonto si ferma un ciuffo di nuvola proprio sulla cima), mentre i bagnanti lasciano la spiaggia, ecco che alla spiaggia degli sportivi dove si gioca a calcio, calcetto, beach volley, beach soccer, e anche una curiosa attività di molleggiate acrobazie in bilico sopra una fettuccia elastica tesa tra due palme, si danno il cambio avventori del bagnasciuga e le numerosissime scuole sportive che allevano giocatori e atleti di ogni età. Si allenano lì proprio di fianco alle mitiche onde bianche e nere del lungomare, fanno corsa e allenamenti ed esercizi, poi inizia la partita.

Ecco, quando inizia la partita, anche se a giocare sono dei ragazzini o dei bambini sui 10 anni, chi passeggia per il lungomare non resiste e si ferma, si siede, si gode la partitella. Una partita è sempre una partita, non serve che siano i campioni in tv, ai brasiliani sembra piacere anche vedere giocare i bambini, questi bambini brasiliani frutto di ogni mescolio di razza esistente sulla terra. E come giocano bene! Forse un giorno alcuni di loro avranno un pubblico diecimila volte maggiore rispetto a noi passanti di Copacabana.

mercoledì 13 aprile 2011

Obbado


Obbado. Ma che vuol dire? Intende Obladà come la canzone dei Beatles? Obbadom. No. Cambia poco…. Ombaadom. Sarà mica… On bottom! E’ inglese! Forse. Parlano così i tanti americani di Texas e Mississippi e Luisiana, personale della piattaforma che è americana, con quella loro lingua che non si capisce se sia proprio inglese o una qualche altra lingua a base di tabacco masticato, con quella loro solita aria strafottente stile “io so' americano e voi nun siente un cazzo”. Neanche altri americani di altri stati che sono qui come New Jersey o Nebraska o gli inglesi a volte riescono a intendere tutto quello che dicono i loro bifolchi connazionali.

Fortuna che è pieno di brasiliani coi loro bei sotaque di San Paolo (do interwriowr), di Rio (trintaissseish pessowassh do Riu) e rari di Curitiba (Curiciba) e Sergipe (Sehrhjipi), e anche di argentini con le loro elle e esse introvabili, tutti che parlano anche un inglese basico ma di pronuncia ineccepibile e inarrivabile per la media italiana e purtroppo anche per gli statiunitensi del sud… Compagni di lavoro: Carla, Jonas (memorabile la sua battuta “lo sapevi che il 99% delle persone che muoiono in Cina sono cinesi?”), Deidimar e Diego brasiliani, Luciana e Victor argentini.

E’ un’altra piattaforma, l’ennesima: altre persone, altri modi di lavorare, altri modi di fare, altri orari, altri pregi e altri difetti, tutto quanto da scoprire occupando come al solito la prima settimana; sono sperso anche stavolta mentre cerco passaggi segreti tra le passerelle e i corridoi, ancora a volte facendo la strada più lunga per andare in bagno o facendo tutti i 3 piani dell’edificio abitabile per riuscire a trovare la mensa.

Siamo sempre al largo di Cabo Frio, che si riesce a scorgere tra la foschia marina in alcune giornate. Intorno c’è una folla di altre 5-6 piattaforme più relative navi di appoggio più pescherecci che ci forniscono il pesce dei dintorni (dintorni di una piattaforma??), mica come in Venezuela che stavamo soli e isolati nel bel mezzo della baia tra Venezuela e Colombia.

Altra piattaforma, altra stanza: soliti condizionatori impostati su gelo di alta montagna, ganci e ripiani assenti (ma nel Nuovo Mondo non sono arrivati?), bagno non isolato acusticamente (in una stanza da 4 in cui si dorme in 2) nessun tavolino, cuscini ultrapiatti (ma a che servono?).

Il volo è dall’aeroporto turistico di Jacarepaguà che sta dietro la Pedra da Gàvea in Barra da Tijuca, (l’aeroporto da cui è partito Obama il giorno del mio arrivo). Scopro un paesaggio nuovo anche lungo la strada per l’aeroporto: la avenida Niemeyer, sopraelevata che corre sopra gli scogli (da noi sarebbe un ecomostro) di fianco alla foresta tropicale e sotto l’immensa parete verticale della Pedra da Gàvea, che buca i Dois Irmaos (la silhouette di tutte le foto di Ipanema) e sfila in Sao Conrado dopo aver lambito l’immensa Rocinha, 350'000 persone abbarbicate nella favela maggiore del Brasile e quell’aspetto, strano ma vero, di vecchia città mediterranea fatta di stradine e casette sovrapposte.

Luce del mattino, cielo clemente, foschia scenografica: Rio mi sfila interamente di fianco, in tutta la sua bellezza di città gigantesca e stretta tra mare e montagne con una varietà di paesaggio così sorprendente che ne avrebbe da vendere ad alcune nazioni intere.