Ci sono volte in cui la notte nel
mare è talmente buia che mare e cielo si fondono in un unico spazio nero, che
confonde i sensi: non si trova più l’orizzonte, non si percepisce più il sopra,
il sotto, il vicino, il lontano, sembra di essere dentro ad una sfera buia,
inconsistente, sospesi nel centro, a fluttuare nel vuoto assoluto, come in una
grotta senza luci quando si sperimenta il buio pesto, o come nel sonno quando
si chiudono gli occhi e il dormiveglia accompagna la mente nel primo passaggio
tra la realtà e il sogno.
Quando pare di vedere delle
lucine fioche, lontane come in fondo al deserto dei Tartari, ecco che navi o
cantieri distanti sembrano là per indicarti l’equatore della tua sfera di buio,
come a ricordarti che tu esisti ancora nello spazio fisico, e che esistono
ancora un sopra e un sotto.
E dire che invece in certe
notti è il mare ad essere buio e il cielo ad essere chiaro. Da dove arriva il tenue
chiarore del cielo, di tutti i cieli? C’è Libreville non molto lontano da qui,
a volte il bagliore del suo cielo, oltre il lembo che delimita l’estuario,
sembra visibile appena con la visione periferica, quella che sola aiuta a
vedere gli oggetti dei cielo più deboli ad occhio nudo. Come fa il cielo a
emanare questo impercettibile chiarore, saranno forse i miliardi di stelle
invisibili?
Ma stanotte nel mare non c’è
nemmeno la luce debole del brillio di una perla di un qualche colombre.