sabato 27 giugno 2015

Sveglia Port Gentil!

Gli alberi di mattina sono sonori, gli stessi alberi silenziosi tra cui la notte avevo visto cacciare un gigantesco pipistrello. Aspetto l’autista che mi porterà all’aeroporto, ho deciso di aspettarlo fuori nel cortile, c’è una brezza che definire brezza di mare è un po’ troppo vago, visto che Port Gentil sta su una lingua di sabbia protesa verso l’Oceano. In questa brezza del mattino che scuote anche le foglie possenti delle palme e dell’albero del viaggiatore sento gli alberi risuonare dei canti degli uccelli che si godono il mattino, quelle ore splendide in cui sembra che il giorno appena sorto prometta di tutto. C’è un suono che distinguo, è un canto più lungo e insistente, un fischio che si ripete ogni volta più basso di un semitono e che spicca su tutti gli altri per intensità e durata, e mi si apre una finestra nel tempo: è lo stesso canto che ascoltavo nella foresta fitta, 6-7 anni fa, quando dopo il turno notturno me andavo a passeggio per le strade nella foresta. Ero spesso da solo e la natura che si era svegliata da poco nemmeno si accorgeva di un bipede che andava a zonzo per le strade rosse tagliate nella foresta solida, e questo muro verde altissimo stava appena oltre il ciglio della strada in terra rossa battuta, sapevo che oltre quel muro esistevano e vivevano quelle ore del risveglio insetti di ogni sorta, uccelli tra rondini e pappagalli e il re della canopea il calaò, serpenti, gruppetti di macachi, e soprattutto pensavo agli animali più grossi e pericolosi, quelli che avrebbero potuto attraversare quel muro e pararmisi di fronte se non alle spalle, gli elefanti o le pantere le cui rare tracce erano visibili a saperle vedere.

Il muro verde

Ecco l’autista, mi carica e mi porta all’aeroporto. Attraversare il quartiere residenziale in cui mi trovo è un affare interessante per chi si diverte a cercare “contraddizioni” in Africa. Le villette sono eleganti e ben tenute, aggraziate da prati all’inglese e decorate da pacchiane colonne greche, hanno il servizio di guardia notturno, e aiuole con piante decorative lato strada. Ma la via… la via è sterrata, quello sterrato che nella lingua di sabbia su cui sorge Port Gentil significa appunto sabbia, quasi la sabbia delle spiagge mista però a terriccio, che invade le belle aiuole e che nel continuo lavorio di piogge intense e di pneumatici di suv si dispone appunto in dune vere e proprie. Mi puntello mentre superiamo queste gobbe enormi su cui i potentissimi suv sfruttano come unico pregio quello di essere rialzati e sono costretti ad avanzare a passo di bici, al loro passaggio si generano tsunami nelle pozzanghere senza fondo attraversate come guadi di fiumi lungo piste selvagge.

Attraverso le strade principali che portano all’aeroporto ecco Port Gentil già sveglia. Non sono ancora le 7, ma la città è già animata da attività che stanno aprendo, lavoratori che pendolano a piedi o in taxi, studenti che vanno alle lezioni. In Africa, in Centro e Sud America - nelle regioni tropicali insomma - la giornata inizia presto e finisce presto: si sta dietro al ciclo solare complice anche un orario di luce che non cambia molto durante l’anno, vita privata e pubblica iniziano poco dopo l’alba, così mezzanotte sembra davvero l’ora della notte fonda. E’ come se si vivesse 1-2 ore prima dell’Europa – o delle medie latitudini. Confesso che la massima sorpresa l’ho avuta a Rio de Janeiro: nei quartieri della zona nord, più popolari, tutto inizia già dalle 6-7, nei quartieri eleganti, ricchi e turistici della zona sud, Ipanema-Leblon-Copabacana, raramente vedevo attività aperte prima delle 8-9. E’ come se vivere tardi fosse un aspetto se non un’ostentazione del lusso.

lunedì 22 giugno 2015

Ancora qui

“Uccelli che fanno casino”: questo era quello che scrivevo in una mail inviata a un amico nell’agosto 2008, dove gli raccontavo le mie prime impressioni della mia prima volta in Africa. Erano le ore del tramonto, il sole scendeva enorme dietro le palme dell’aeroporto sul mare, aspettavo attendenti che non sarebbero arrivati lasciandomi in balia di due furboni, in un’epoca in cui non ero ancora allenato a viaggiare in un certo modo. Col calare del sole sentivo la notte che calava su di me: stordito da tanta novità, spaesato, ma anche osservato, perché “people are strange”, la gente è strana, quando sei tu lo straniero, dicevano i Doors, e un bianco in Africa è decisamente uno straniero.

Oggi sono di nuovo qui. Non avrei pensato che sarebbe potuto succedere: sono di nuovo in Gabon, dove la mia attuale vita professionale è iniziata, ormai 7 anni fa. Oggi sono tranquillo, forse grazie al volo che arriva a destinazione più presto, a metà pomeriggio: l’uomo, pur essendosi evoluto tecnologicamente, dentro di sé conserva ancora paure e istinti ancestrali, cosicché anche da evoluto sente è la luce del giorno la sua prima protezione, perché arrivare in luoghi ignoti la sera tardi non è mai piacevole, pensi di non avere le stesse opportunità e lo stesso tempo che avresti giungendo di mattina, e magari anche la stessa fortuna. Ma stavolta è ancora pomeriggio, un bel pomeriggio luminoso, le persone non mi sembrano affatto ostili, non lo è sicuramente Vanessa, che è venuta ad accogliermi per potermi imbarcare per Port Gentil, e a cui affido, dopo un po’ di tempo in piacevole compagnia in attesa del volo, la promozione di "Hic Sunt Gabones", la mia mostra fotografica di foto fatte proprio qui in Gabon 6 anni fa.

Vanessa sponsorizza la mostra "Hic sunt Gabones"

Durante il check in per Port Gentil ritrovo gli stessi identici schermi che ricordo nella sala delle partenze anni fa, li riconosco dagli stessi difetti di immagine. Come faccio a ricordare questo particolare? Non ci ho mai più pensato da allora, dove stava nascosto nella mia testa questo insignificante dettaglio? Ma allora davvero il nostro cervello registra la totalità di quello che vediamo e proviamo, salvo tenerlo da qualche parte al sicuro prima di farcelo riaffiorare nella mente? E quindi, malattie come l’Alzheimer sono la perdita dei ricordi o la perdita della capacità di riprendere i propri ricordi? Pure le immagini sono le stesse identiche 6-7 foto che sfilavano 6 anni fa.

A volte le soddisfazioni arrivano tardi, in lunga differita, piatti gustati freddi come certe vendette. Nel primo viaggio del secondo Gabon (ad aprile) ho finalmente viaggiato vicino al finestrino, potendo guardare tutta l’Africa, il deserto soprattutto. Esclusi i voli notturni, durante tutti i voli diurni avevo sempre qualcuno tra me e lo spettacolo, ricordo una passeggera che è stata capace di chiudere l’oblò prima ancora di decollare e di tenerlo chiuso fino a destinazione, eppure è gente che il proprio posto lo sceglie, cosa lo scegli a fare se poi non ne approfitti? Per avere una parete di fianco? Perché allora non viaggi nella toilette?
I viali bianchi di Parigi col il ricordo di una vacanza romantica con Greta, la Francia ignota del Massiccio Centrale, i Pirenei e Barcellona, i rilievi delle Baleari, l’Algeria coi monti dell’atlante verdi di cedri e poi azzurrini del paesaggio di sabkha. E finalmente eccolo il deserto! Che sbalordimento al vedere una infinita distesa giallastra di sabbie e di sassi del reg algerino macchiata da rocce brune e nerastre, e poi gli altipiani tagliati da canyon profondi, praticamente una carta geologica a grandezza naturale, coi profili nudi di colline che seguono le pieghe delle rocce come costole di uno scheletro, resti mortali di una vita che esisteva intensa fino ai tempi delle glaciazioni. Tra i monti e le vallate dell’Ahaggar riesco a indovinare boschi, praterie di greggi, torrenti pescosi, nelle distese di sabbie e ghiaie riesco a immaginare savane brulicanti di elefanti, ovunque penso agli uomini che ci hanno lasciato graffiti millenari sulle rocce con le immagini di come era bello e florido il loro mondo.
Infine il Sahel, ovvero le steppe dell’Africa subsahariana, la savana, e poi l'umidità delle prime foreste equatoriali offusca tutto il suolo con la sua cappa inconsistente e impenetrabile, il sole contro riflette i suoi raggi su questa foschia e cancella il suolo alla vista, nessuna possibilità di vedere steppe e le prime foreste equatoriali, solo il monte Camerun buca nuvole e foschia, nitido contro le nuvole bianco abbaglianti delle alte quote.
L’ultima ora del volo è un ricordo potente. La sensazione di essere quasi a destinazione, le nuvole a chiazze sul mare sotto e le loro ombre ancora verticali, quella sensazione di tepore e stordimento che provoca la riattivazione del proprio corpo dopo un viaggio lungo e sonnacchioso, la percezione del clima già caldo col sole del pomeriggio: tutto come quando ero arrivato in Guadalupa, quello che ormai è un pezzo della mia vita di 10 anni fa.


Infine, a Port Gentil, si conclude questo viaggio, che è anche un viaggio nella memoria di 6-7 anni fa. Il giro per Port Gentil mi mostra la città come la conoscevo: le strade poco luminose, le botteghe aperte la notte con fredde luci al neon, la gente che passeggia a bordo strada e sui marciapiedi, l’umanità che conclude la giornata di lavoro. C’è il ricordo di una serata in compagnia di Andrea, che era alloggiato nella stessa guest house in cui mi trovo io ora, e il mitico Copacabana che serve cibo fino a tardi con le sue patatine fritte più buone del mondo (non stasera però).


Parigi, l'aeroporto più dispersivo del mondo

Parigi

Campagna francese


Il Massiccio Centrale

Costa Brava, Barcellona sullo sfondo

Cala Sant Vincenç, Baleari

Maiorca

L'Atlante algerino

Deserto algerino, pieghe come su una carta geologica

Deserto algerino
Quel che resta di un antico fiume

Rilievi dell'Ahaggar

Il monte Camerun