venerdì 30 dicembre 2011

Lost in Rio de Janeiro



La sterminata Zona Norte di Rio de Janeiro, una lenzuolata infinita di aree e quartieri di basso valore e favelas senza soluzione di continuità. Il tutto si perde nella luce smorta di una giornata di cielo coperto e basso a tagliare le cime dell’Alto de Boavista. E’ la giornata in cui finalmente torno a visitare qualcosa di nuovo, e scelgo la Igreja da Penha, nome abbreviato per un sudamericanissimo come completo che recita Igreja Matriz de Nossa Senhora da Penha da França.


La Igreja è costruita in cima a un morro, uno di quei tanti roccioni di granito rotondi e levigati in mezzo a piatte distese che sembrano sassi che paiono scagliati e conficcati nella sabbia. La cima del morro accoglie con la sua spianata naturale il santuario, la balconata, e la lunga scalinata di accesso scavata nel granito. Vedevo questa chiesa, lontanissima, un po’ da ogni punto della città nel Centro e nei dintorni, non svettante ma propiziamente isolata nella distesa abitata della zona nord, e la vista dalla sua balconata conferma le aspettative: il Pan di Zucchero lontano eppur grande che sembra più grande da lontano che da vicino, i grattacieli del Centro, la baia, il ponte, l’isola Paquetà, scorci della Serra Verde Imperial tra le nuvole, lo schifo della raffineria di Magé, colline e montagne lontane dell’Alto da Boavista, colline vicine spalmate di favelas. Tutta la zona nord è qui intorno, sterminata esattamente come la si intuisce già dai belvedere di Santa Tereza. Chi viene qui probabilmente è gente di quartieri circostanti e delle favelas che ci sono alle spalle, mi domando se riesco a mimetizzarmi a sufficienza con la mia barba che fa più brasiliano bianco della zona Sul che altro.

Il viaggio da e per è un viaggio nella Zona Norte tutta. Attraverso tra andata e ritorno quartieri e favelas con nomi forse poco rassicuranti per chi ne conosce poco: Bonsucesso, Penha, Complexo do Alemao (le sterminate favelas teatro degli sgomberi dei trafficanti del novembre 2010) e il suo teleferico, poi Pilares, Meier, Engenho Novo, Jacaré, Vila Isabel, Tijuca, Maracanà. Una sequela senza soluzione di continuità di enormi avenide trafficate, piccole stradine di quartiere, strade maestre di favelas, tunnel, piazze animate, supermercati, aree industriali, vecchi edifici storici deturpati. Il tour della zona Norte al ritorno dalla chiesa prende 3 ore, complice anche un malinteso per un pullman che non ferma al capolinea ma anzi segue una linea circolare. E' anche sbagliando pullman che si scopre una città.

Banana Joe

Rio, quanto tempo! Non posso fare più a meno di notare che ogni volta che rientro dall’aeroporto cerco le novità, guardo quanto la città è cambiata, in vista delle olimpiadi e dei mondiali, e come cambia! Spuntano ponti nuovi, il perna de mulher che è il pilone portante che pare la gamba di una donna che sorge dall’acqua della laguna come fosse uno spettacolo di nuoto sincronizzato, ci sono le favelas sterminate ma sempre più pacificate, ci sono i lavori in corso nelle vie dimenticate del Centro.

Con le orecchie ovattate dalla caduta di un aereo da 10’000 metri e l’ambiente a chiusura stagna della macchina che sfila lungo la linha vermelha è un disco di Maria Gadù che completa il benessere di questa sensazione di inusuale “ritorno a casa”. Guardo il traffico, commento il volume del traffico, guardo la Igreja de Nossa Senhora da Penha come si guarda Superga all’arrivo da Caselle, guardo le montagne e la propaggine del Corcovado come si guardano le Alpi, cerco il Pan di Zucchero là in fondo come si cerca la guglia della Mole quando non c’è smog.



Qualche giorno dopo sul pullman espresso che parte dall’aeroporto viaggio insieme ai turisti in arrivo, provo a vivere il loro arrivo e l’eccitazione delle loro prime immagini di Rio de Janeiro coi loro occhi meravigliati. Non ci riesco, loro con zainoni e io con la mia misera bustina di documenti: ormai conosco troppo questa città per fare finta che sia tutto nuovo.Sono forse a casa e ancora non lo so?

Alla Polizia Federale devo fare il mio visto brasiliano. Nello squallido ufficio tutto plastica e luci al neon sono in attesa di un carimbo, il famigerato timbro sul passaporto che mi allunga la vita brasiliana di due anni. Il carimbo sudamericano si associa immediatamente a Banana Joe e il memorabile Pinco Pallino al ministero per ottenere il certificato di nascita per cui servono timbri su timbri. Apprendo inoltre dal mio nuovo visto brasiliano che… sarei sposato.


Per natale nella Lagoa hanno piantato un immenso albero di luminarie, splendido alla sera mentre si riflette sull’acqua insieme allo sfondo delle luci di Ipanema e Leblon e alla sagoma dei morros, oltre al bonario Cristo defilato sopra di noi. Ma l’aria di natale non intacca l’aria estiva della zona Sul, rare luminarie quasi non si vedono tra le ciabatte e i capelli bagnati di chi passeggia per Ipanema. E’ qui che passeggiando con Gabi e alcuni suoi amici capita sorprendente di incontrare vari giovani artisti brasiliani, che quasi non ci si crede: un’attrice e il suo marito cantante, che passeggiano come se niente fosse lungo la Visconte de Pirajà. Del resto Ronaldo e Nùbia, gli amici di Gabi, sono loro stessi attori di teatro e televisione (novelas!) in giro tra Rio e San Paolo. E seduti in un ristorantino al pomeriggio ecco pure che si ferma un maggiolino: sono due ragazze che vogliono salutare Ronaldo, anche loro

sono attrici, una di loro forse la vedrò su rede Globo nella prossima novela das 9.

Avendo recentemente visto Midnight in Paris di Woody Allen (e ricordando la serie “Le avventure del giovane Indiana Jones”) penso a come potrei un giorno raccontare di nuovo questo strano pomeriggio, mentre si parla di attori noti nel mondo per la loro bravura e che io avevo conosciuto agli albori della loro brillante carriera. Buona fortuna a tutti loro.