domenica 11 settembre 2011

Parigi, infine!

Parigi! E con questa destinazione si chiude il simbolico Orient Express iniziato a Istanbul e proseguito accidentalmente, fortunosamente e fortunatamente con le vicende di Bucarest. Una settimana di viaggio, mondi diversi sempre più vicini e ugualmente sempre più intolleranti.

Ma adesso, Parigi. L’arrivo è inusuale, per chi è abituato a passare di qua come semplice tappa, una fugace vista dall’oblò dell’aereo quando si ha la fortuna di avere il posto vicino al finestrino, uno sguardo alle foto “romantiche” in bianco e nero nelle cartolerie e carabattolerie (chincaglierie, letteralmente, come giustamente le chiamano qua in Francia). Viaggiano con me vacanzieri (non solo Parigi, ma facenti scalo), partenti Erasmus, lavoratori in missione, africani di passaggio, a giudicare dall’accento gabonese della famigliola seduta davanti, quanti ricordi!

Stavolta è per me Parigi. Inizio ad accorgermene al momento di salire sul RER, che è il treno più indecente del mondo, essendo di servizio per l’aeroporto e non avendo i costruttori previsto un poggiabagagli che sia uno sopra i sedili come invece si trova in ogni vagone del mondo: gente che viaggia coi bagagli addosso, tra le gambe contorte, e soprattutto gente che deve viaggiare in piedi perché i sedili sono occupati dai bagagli di chi ha preso il treno al capolinea, cioè all’aeroporto. E attraverso Sevran, la cittadina di cui si parla nel mitico “Puoi chiamarmi fratello” come di una tipica cittadina satellite di banlieu illuminate dal sole Parigi ma con famiglie che non hanno mai visto da vicino questo sole, più per disinteresse che altro.

Il disastro dei RER di Parigi continua alla centralissima Chatelet les Halles, stazione dove tutti cambiano treno, e per tutti si intende centinaia di passeggeri per volta: tutti a testa per aria a cercare disperatamente informazioni sui treni. E in effetti sembra che i parigini sulle banchine del RER passino la maggior parte del tempo a capire dove stia andando il treno che hanno di fianco, da quale parte vada il treno che devono prendere loro, quale ramo ferroviario percorrerà (perché ogni linea o ha diversi capolinea o ha lo stesso ma tratte diverse per raggiungerlo). Io non sono da meno, riesco a passare 20 minuti (certamente consono l’unico) ad aspettare notizie da un tabellone che si rifiuta di accendersi per indicare dove vada il treno di fianco, mi viene in soccorso una ragazza evidentemente allenata a dare una mano agli sventurati viaggiatori del mitico RER di Parigi.

Quando parte, il treno si riempie di una moltitudine da grande città, praticamente sono rappresentate tutte le colonie del passato della Francia, eppure ho sentito un accento “intruso”, che sembrava portoghese dell’Angola… che ci fanno qua e non a Lisbona? Il treno attraversa infiniti fasci di binari, è impossibile contare quanti TGV ho visto, di tutte le serie, decine e decine di TGV di ogni epoca dei suoi gloriosi 30 anni (che infatti le SNCF celebrano quest’anno), incluso lo strano TGV postale giallo degli anni ’80 e i treni della Manica. E mentre cala vistosamente la densità abitativa dei quartieri attraversati, stranamente aumenta anche la bellezza delle aree residenziali: appena lasciata la Gare de Lyon con gli ultimi edifici alti, ecco comparire i quartieri e poi le cittadine nella foresta, tutte casette eleganti, manieri, case a graticcio, tetti a spiovente, bei cortili. Non male per l’immagine di banlieu fatta a orrende scatole di scarpe in cemento di altri settori. Pian piano il paesaggio assume l’aspetto di campagna alternata a villaggi in stile nord francese. Il treno si svuota, fermata prima del capolinea, un’altra cittadina, altra “provincia”, addirittura altro dipartimento, adagiato sulla Senna che ancora non ha incontrato Parigi. Per fortuna se ne sono andati anche quei molesti di ragazzi poco raccomandabili che si divertivano a cantare musicaccia hip hop ad alta voce nel vagone pieno, facendo scappare metà vagone nei vagoni adiacenti: non li ho più visti, li avrà fatti sloggiare la polizia che ha rastrellato il treno forse avvisata da alcuni passeggeri.